"Ciascuno ha la sua tenda, di che mangiare e anche vestiti. Ora devono ritrovare la speranza per ricominciare".
Il sisma che venerdì 8 settembre ha scosso il Marocco, in questa zona, proprio sotto il massiccio del Toubkal, ha aperto le montagne e inghiottito le strade: una cartografia sconvolta.
Ma soprattutto ha cancellato in quei 30 secondi storia e vite di un centro che prima di contare coperte e scatolette di tonno, contava famiglie. "Controllavo quattro Douar (villaggi) con circa 200 famiglie - dice ancora Rachid -, so a memoria i nomi di tutti, e di notte, prima di dormire, li ripeto a mente".
Sotto braccio ha quel che gli rimane della propria famiglia, "il ritratto di mio padre quando era giovane. Era in salotto, che fortuna averlo ritrovato".
Nella grande spianata, dove si raccoglie il necessario per sopravvivere, hanno messo in ordine oltre mille bombole di gas, "perché bisogna tornare a cucinare", secondo Ahmed Hammouch, imprenditore del turismo all'Agafay, il deserto di Marrakech, che ha chiuso il ristorante e indossato un gilet fosforescente per organizzare i soccorsi. Tir, auto e mezzi di fortuna formano un serpentone di chilometri. La protezione civile e l'esercito regolano il flusso degli aiuti. Quello che resta del villaggio di Tafeghaghte è raggiungibile solo a piedi, scavalcando detriti e miseria. Aziz si accascia davanti alle pietre della casa che ha abitato con moglie e due figli piccoli. "Non ho più nessuno - racconta -. Vede questo azzurro? Era il muro della cucina, lo riconosco. La mia casa era qui, dove ora sta scavando la ruspa".
C'è un anziano pastore che tutti chiamano "signor Ahmed", e indica col bastone un ammasso di pietre di montagna. "Via da qui, ci sono 25 capre rimaste intrappolate là sotto. Si sente la puzza". Era il gregge che lo aveva reso ricco e rispettabile, e ora è sparito in un soffio, con la speranza di poter invecchiare serenamente. Della casa di Fatiha e Mohammed resta in piedi solo la porta d'ingresso. Fatiha vuole che il marito vada a farsi curare il braccio, bloccato al collo con uno straccio, da quattro giorni. Mohammed si presenta all'uscio e urla: "Faccio quello che voglio, perché sono vivo".
Sulla spianata dei soccorsi, dove una grande tenda raccoglie tutto quel che arriva, c'è Mehdi, 24 anni. Era a Dakhla, quando ha saputo del sisma ha preso l'aereo fino ad Agadir e poi ha fatto l'autostop fin quassù. "Mio padre è stato 12 ore sotto le macerie, ma sono riuscito a tirarlo fuori, a parlargli - racconta -. Lo hanno soccorso e portato in ospedale e un'ora dopo è morto". Con lui, quella notte, se ne sono andati altri sei parenti. Ora è in viaggio verso la sorella, unica sopravvissuta, accolta nel frattempo da amici di Agadir. "È piccola, ha 15 anni, come facevo a lasciarla in una tenda?".
Marocco, nel villaggio dell'Atlante distrutto dal sisma
Tra macerie e ricordi, in cerca di speranza per ricominciare