Il leader socialista Pedro Sanchez torna a essere il presidente del governo di Spagna. In meno di sei mesi è riuscito a compiere una sorta di "miracolo politico": dopo il flop di maggio alle ammnistrative, la sua carriera politica sembrava ormai al tramonto. Ora invece è di nuovo alla Moncloa, confermandosi il punto di riferimento di tutta la sinistra europea. Guiderà comunque un Paese profondamente spaccato, scosso da forti proteste di piazza, spesso violente. Un ampio settore della società spagnola lo giudica troppo spregiudicato: non gli perdona di aver concesso l'amnistia agli indipendentisti catalani in cambio dei loro voti. Teme che questo sia il primo passo verso la fine dell'unità nazionale. Sanchez, invece, pensa il contrario: per lui l'accordo rafforza "la convivenza e gli interessi della Spagna" e soprattutto permette la nascita di governo progressista, un "muro" all'avanzata dell'estrema destra.
Proprio le difficoltà della destra, con un Partito popolare (Pp) spesso appiattito sulle tesi radicali di Vox, hanno aiutato il premier a ridurre le distanze con i partiti più piccoli. Se il Pp ha tentato, invano, di dialogare con alcuni di loro, Vox ha già presentato una proposta per metterli tutti fuori legge. Ad ogni modo, per il leader del Pp, Alberto Nunez Feijòo, il governo sarà "ostaggio dei catalanisti". Quindi annuncia ricorsi a Bruxelles per dimostrare che a Madrid si sta violando il diritto europeo, come in passato in Polonia e in Ungheria. Impresa difficile, almeno a giudicare dalle congratulazioni che sono arrivate a Sanchez dai vertici europei, da Charles Michel a Ursula von der Leyen. Il capo di Vox, Santiago Abascal, invece va molto oltre: in aula ha definito Sanchez un "golpista", paragonandolo addirittura a Hitler: "Anche lui è arrivato al potere con i voti e poi ha liquidato la democrazia".
Frasi di fuoco che gettano benzina sul fuoco di una protesta, quella dei neofascisti davanti alla sede del Psoe, che va avanti da molti giorni provocando gravi incidenti. Posizioni radicali che fanno indignare Aitor Esteban, il leader del Partito nazionalista basco (Pnv): "Non mi piace chi sovverte in piazza l'esito elettorale: la macchina del Pp è grippata perché usa l'olio di Vox". In questo contesto, Sanchez incassa la fiducia del Congresso: 179 sì, cioè la somma della sinistra con i partiti indipendentisti e nazionalisti, mentre la destra del Pp e Vox è ferma a 171. Tutti pensavano che il suo ritorno al governo fosse una "mission impossible". ma Sanchez l'ha trasformata in una "missione compiuta". Il 28 maggio, dopo la batosta alle amministrative, la sua leadership venne messa duramente in discussione. Coerentemente con il titolo della sua autobiografia, "Manuale di resistenza", non si perse d'animo e reagì subito giocandosi il tutto per tutto, anticipando le elezioni addirittura al 23 luglio. Un "all in", un azzardo in piena regola, se pensiamo che la Spagna, tra proteste furibonde, andò al voto con 40 gradi all'ombra.
Alla fine però i fatti gli hanno dato ragione: quasi tutti si aspettavano il trionfo dell'asse tra Pp e Vox sull'onda delle ultime elezioni in Europa, da Roma a Atene. E invece la maggior parte degli spagnoli si oppose al ritorno della destra postfranchista alla Moncloa. Fallito il tentativo di Feijòo di ottenere la fiducia, Sanchez, si è messo al lavoro. E al termine di un negoziato lungo tre mesi, malgrado fortissime proteste di piazza, è riuscito a portare a casa l'intesa sull'amnistia con i secessionisti catalani che gli ha riaperto le porte della Moncloa. Ovviamente i prossimi mesi saranno difficilissimi: il suo governo, come denuncia il Pp, rischia di essere fortemente condizionato dai voti dei catalani di Junts, anche le manifestazioni non si placheranno facilmente. Le giunte regionali in mano alla destra, e persino i giudici, non gli daranno tregua. Però tutto questo riguarda il domani. Quanto a oggi, grazie a Sanchez, la Spagna rimane l'unico grande paese europeo governato esclusivamente da ministri progressisti.