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L'Ecuador sotto attacco: caos, violenze e morti

In stato di emergenza, 13 morti e 70 arresti. Uomini armati irrompono in diretta tv. L'ex presidente Correa appoggia Noboa

Redazione Ansa

Un'ondata di violenze senza precedenti, risultato dell'azione corale di bande criminali determinate a generare caos, ha travolto l'Ecuador arrivando a metterne in pericolo la stabilità democratica e costringendo il presidente Daniel Noboa a reagire con l'introduzione dello stato di emergenza ed una dichiarazione di 'conflitto armato interno'. Non esistono bilanci ufficiali ma polizia e amministrazioni locali hanno indicato che i morti sono 13, mentre si segnalano numerosi feriti e l'arresto di almeno 70 persone.

Le immagini diffuse da tv e social - fra cui quelle di un assalto di individui dal volto coperto al canale TC Television di Guayaquil con giornalisti in ginocchio che implorano di non essere uccisi e dei cadaveri abbandonati nelle strade - hanno scosso l'opinione pubblica e preoccupato la comunità internazionale. Usa, Spagna e Italia hanno manifestato la loro solidarietà all'Ecuador, così come Brasile, Argentina, Cile, Colombia, Perù e Paraguay, mentre la Cina ha chiuso ambasciata e consolati.

Le misure eccezionali disposte dal governo, con il dispiegamento nelle strade di soldati in tuta mimetica e di veicoli blindati, sono giunte dopo la fuga dal carcere del narcotrafficante e leader di 'Los Chineros', Adolfo Macías, alias Fito. Subito hanno provocato una violenta reazione dei gruppi criminali, con rivolte nelle carceri, presa di ostaggi, attacchi armati, incendi, omicidi e sequestri. Di fronte a ciò, il capo dello Stato ha utilizzato quanto previsto dalla Costituzione per ordinare alle forze armate di avviare operazioni di ordine pubblico sul territorio nazionale al fine di contribuire alla repressione delle 22 bande di narcotrafficanti recensite e dichiarate 'terroristiche'. In quest'ambito, la polizia avrà esclusivamente un "ruolo ausiliare".

In dichiarazioni oggi a Radio Canela di Quito, Noboa è stato molto determinato e severo, avvertendo "eventuali giudici e pm che sostenessero i gruppi terroristici" che "sarebbero considerati come parte di essi". Richiesto di confermare che l'Ecuador è in guerra, il capo dello Stato ha risposto: "Sì, ci troviamo in un conflitto armato, non internazionale, ma lottiamo per la pace contro dei terroristi". Dato l'alto livello dello scontro, i militari, ma anche gli agenti di polizia, potranno utilizzare armi e munizioni letali, mentre il Parlamento ha promesso provvedimenti di indulto ed amnistia per le azioni dei membri delle forze di sicurezza. L'attacco della criminalità un effetto positivo comunque lo ha avuto, contribuendo a compattare l'intero arco politico dietro al capo dello Stato, nella difesa della democrazia e delle istituzioni. Così anche l'ex presidente progressista Rafael Correa, esule in Belgio, si è rivolto direttamente al conservatore Noboa in un video assicurandogli il suo "sostegno illimitato".

"Questo è il momento dell'unità nazionale - ha detto - perché il crimine organizzato ha dichiarato guerra allo stato, e lo stato deve vincere!". Il degrado della convivenza civile in Ecuador, in passato considerata una nazione tranquilla, risale ad almeno sette anni fa quando, progressivamente, esponenti dei cartelli della droga di Messico e Colombia si sono infiltrati in varie province. Accompagnati da rappresentanti delle principali mafie europee dai Paesi Balcanici (soprattutto Albania) e anche dall'Italia ('Ndrangheta), hanno inviato tonnellate di droga verso gli Usa e l'Europa.

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