A pochi giorni dal Consiglio Europeo straordinario che deve trovare la quadra sui fondi di emergenza all'Ucraina nonché sulle risorse aggiuntive per migrazione e aiuti alle imprese (Step) sale la tensione tra i 27 in seguito alla posizione intransigente di Budapest, che sembra aver scelto la strada del "ricatto". Una strategia pericolosa.
Molti leader sono infatti stanchi dei continui veti di Viktor Orban - che si oppone alla revisione del bilancio comunitario e pretende una soluzione alternativa - e arrivano a invocare l'opzione nucleare, ovvero l'attivazione dell'articolo 7 dei trattati, che prevede persino la sospensione dei diritti di voto all'interno del Consiglio. In pratica il cartellino rosso Ue.
La frustrazione deriva non solo da una questione di metodo - il ricatto, per l'appunto - ma anche di merito.
La pretesa di Orban di non passare per il bilancio comunitario per aiutare l'Ucraina con i 50 miliardi promessi nell'arco di quattro anni (un mix di sussidi e prestiti) infatti pone una serie di problemi tecnici, che riduce la prevedibilità necessaria per sostenere davvero Kiev. "Alcune richieste di Budapest possono essere soddisfatte parzialmente - assicura un'alta fonte europea - mentre altre riscontrano totale opposizione, come il voto annuale sui fondi, che darebbe a Orban un veto da potersi giocare su altri tavoli". E nell'immediato nel gorgo potrebbero finire ad esempio i finanziamenti per la migrazione e Step sull'onda a quel punto di veti incrociati fra i restanti 26 per non darla vinta all'Ungheria.
La questione qui si fa però politica. Il premier slovacco Robert Fico ha dichiarato pubblicamente che non avrebbe mai autorizzato l'articolo 7 contro l'Ungheria; resta da vedere poi l'agibilità di una misura tanto dirompente alla vigilia delle elezioni europee, in una fase in cui le varie famiglie politiche (al netto del tutti contro tutti d'ordinanza) si studiano per trovare possibili equilibri post-voto e arrivare al rinnovo delle istituzioni europee. "A dire il vero mi pare piuttosto irrealistico", confida un diplomatico.
"Se Orban deciderà di uscire allo scoperto giovedì - aggiunge - ci saranno senz'altro delle conseguenze ma in modo più sottile". La presidenza di turno ungherese - da calendario dovrebbe partire il primo di luglio - potrebbe non essere allora più scontata, dato che basta il voto a maggioranza per cambiare l'ordine della rotazione.
Resta il fatto che il ritardo dei finanziamenti a Kiev diventa sempre più pressante, anche in virtù di quanto sta accadendo a Washington. Lo speaker della Camera Usa, il repubblicano Mike Johnson, ha avvertito che il rinnovo degli aiuti militari americani all'Ucraina non passerà poiché anche il Senato "sembra incapace di raggiungere alcun accordo". L'intesa europea diventa dunque ancora più cruciale. I tecnici sia della Commissione che del Consiglio stanno quindi lavorando a un piano B nel caso in cui l'Ungheria non si pieghi ma sarebbe una soluzione di emergenza che scontenta tutti (a parte Orban). In questa fase i negoziati continuano ma - a quanto si apprende - il Consiglio "è pronto" ad aprire la procedura dell'articolo 7, che si attiva su richiesta di un terzo dei suoi membri, della Commissione o del Parlamento Europeo.
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