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L'eleggibilità di Trump all'esame della Corte Suprema

Dopo l'esclusione dal voto in Colorado per il 14/mo emendamento

La Corte suprema ascolta gli argomenti pro e contro l'eleggibilità di Trump

Redazione Ansa

La Corte suprema Usa ascolta oggi gli argomenti delle parti pro e contro l'eleggibilità di Donald Trump dopo che lo Stato del Colorado lo ha escluso dal voto per il suo ruolo nell'assalto a Capitol Hill in base al 14/mo emendamento della Costituzione, che vieta le cariche pubbliche ai funzionari coinvolti in insurrezioni o rivolte contro la Costituzione su cui hanno giurato. Si tratta di un caso senza precedenti in un'elezione presidenziale.

La storica decisione non è attesa per oggi ma deve arrivare in tempo per il Super Tuesday del 5 marzo, quando va al voto il Centennial state. La sentenza farà da precedente anche per le cause analoghe intentate in vari Stati Usa e potrebbe quindi diventare decisiva nella corsa per la Casa Bianca.

Il tycoon può contare su una maggioranza di sei giudici conservatori su nove (di cui tre nominati da lui). Uno di loro, Clarence Thomas, si è rifiutato di ricusarsi nonostante le richieste anche da parte democratica per il ruolo di sua moglie Ginni, attivista pro Trump coinvolta nel tentativo di stravolgere l'esito del voto del 2020.   

Secondo gli avvocati dell'ex presidente, la sezione terza del 14/mo emendamento, in base alla quale la corte suprema del Colorado ha escluso Donald Trump dal voto, non è immediatamente esecutiva e spetta solo al Congresso metterla in vigore. La sezione inoltre riguarda "i funzionari degli Stati Uniti", ossia quelli nominati, non eletti come il presidente, che quindi non ricade nella norma. 

L'assalto al Capitol, sempre secondo i difensori di Trump, "fu una sommossa, non una insurrezione. Gli eventi furono vergognosi, criminali, violenti ma non si qualificano come insurrezione": 

Prevalgono comunque dubbi e scetticismo tra i nove giudici della Corte suprema sulle argomentazioni contro l'eleggibilità di Donald Trump in base al 14/mo emendamento, introdotto nel 1868 per impedire che qualsiasi funzionario civile o militare che aveva servito negli Stati Uniti prima della Guerra civile riguadagnasse posizioni di autorità se aveva tradito il suo Paese sostenendo la Confederazione sudista.

Lo si evince dalle loro domande e dai loro commenti. Uno su tutti quello del presidente John Roberts, che ha fatto capire chiaramente di non condividere la conclusione secondo cui il 14/mo emendamento mirava a consentire agli Stati di determinare se un candidato fosse un insurrezionalista non eleggibile. "Il punto centrale del 14/mo emendamento era limitare il potere statale, giusto?", ha detto rivolto all'avvocato che rappresenta alcuni elettori del Colorado. "La vostra è una posizione che fa a pugni con l'intero orientamento del 14/mo emendamento", ha aggiunto, sottolineando che tale posizione avrebbe dato agli ex Stati confederati il potere di valutare se un candidato poteva essere squalificato da una carica federale.

L'emendamento fu approvato per limitare i diritti degli Stati e conferire potere al governo federale, ha proseguito Roberts, e questo è "l'ultimo posto in cui si dovrebbe cercare l'autorizzazione per gli Stati, compresi gli Stati confederati, di attuare il processo elettorale presidenziale". Il giudice Brett Kavanaugh gli ha fatto eco rafforzando il punto in una serie di domande che hanno messo in discussione la tesi dei ricorrenti del Colorado.

Lo scetticismo di Roberts e Kavanaugh non sono un buon segno per gli sfidanti, perché si tratta dei due giudici conservatori considerati più "contendibili" per ribaltare la maggioranza di destra della corte. La giudice Elena Kagan ha proseguito suggerendo che sarebbe "straordinario" per un singolo Stato influenzare efficacemente le elezioni presidenziali dell'intera nazione. 

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