Una fonte egiziana ha rivelato all'emittente statale Al Qahera che i negoziati su Gaza al Cairo hanno registrato "grandi progressi" e che le trattative continueranno nelle prossime 48 ore. Secondo la fonte, ci sarebbe "un accordo sui punti principali tra le varie parti". Le delegazioni di Israele, Hamas, Stati Uniti e Qatar lasceranno la capitale egiziana nelle prossime ore, ma è previsto il loro ritorno tra due giorni "per concordare gli articoli dell'accordo finale".
Israele ha ritirato le truppe di terra combattenti dal sud di Gaza, lasciando Khan Yunis dove stanno rientrando gli sfollati palestinesi. La svolta - a sei mesi dall'attacco di Hamas del 7 ottobre - ha segnato, secondo fonti dell'Idf, l'avvio della Terza Fase dell'operazione di terra cominciata il 27 ottobre. Ovvero, quella "dei raid mirati e limitati, come nel caso dell'ospedale Shifa a Gaza City". Sul posto - dopo la partenza della ultima divisione, la 98/esima - è rimasta solo la Brigata Nahal con il compito di controllare e mettere in sicurezza il cosiddetto Corridoio Netzarim che separa la Striscia orizzontalmente dal kibbutz Beeri alla fascia costiera di Gaza, dividendo in due parti il territorio dell'enclave palestinese. Il cambio di strategia - che non esclude però l'annunciata operazione di terra a Rafah - è arrivato nel giorno stesso in cui al Cairo si riaprono i negoziati indiretti tra le delegazioni di Hamas e Israele, sotto la spinta del Qatar, dell'Egitto e soprattutto degli Usa che hanno inviato nella capitale egiziana il capo della Cia William Burns. Fonti locali - citate dai media del Qatar - hanno riferito di una possibile tregua temporanea da martedì prossimo per i tre giorni successivi della Festa di Eid el- Fitr che mette fine al mese di Ramadan.
Il premier Benyamin Netanyahu ha affidato alla delegazione israeliana "un mandato significativo" per trattare, ma è stato chiaro: "Nessun cessate il fuoco è possibile senza il rilascio degli ostaggi" anche perché per Israele la vittoria "è vicina". "Non è Israele a impedire un accordo ma Hamas", ha precisato denunciando come "estreme" le richieste della fazione islamica. E ha invocato "l'unità del Paese" di fronte alle manifestazioni di protesta e di "una minoranza estrema e violenta che sta cercando di dividerci". Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha spiegato che la decisione di ritirare le truppe di terra combattenti da Khan Yunis è stata presa "nel momento in cui Hamas ha cessato di esistere come struttura militare in città". "Le nostre forze hanno lasciato l'area - ha spiegato - per prepararsi alle loro future missioni, inclusa la missione a Rafah". Sul campo resta infatti l'annunciata operazione militare nell'ultima città di Gaza prima dell'Egitto per colpire i restanti battaglioni di Hamas.
Il ritiro - hanno insistito le fonti dell'esercito - non esclude neanche che l'Idf "se necessario non possa tornare a Khan Yunis". La decisione - hanno specificato le fonti - non ha quindi nulla a che vedere "con la pressione Usa esercitata su Israele", quanto piuttosto con la volontà di "lasciare spazio" nella zona agli sfollati palestinesi "se e quando sarà condotta l'operazione a Rafah", ma anche di far tornare i residenti alle loro case di Khan Yunis. Il ritiro delle truppe israeliane dal sud di Gaza è probabilmente solo un periodo di "riposo", ha affermato la Casa Bianca reiterando la "frustrazione" dell'amministrazione di Joe Biden nei confronti dello Stato ebraico che a Gaza "deve fare di più". Tuttavia, la mossa appare un cambio di passo nella strategia complessiva dell'Idf. L'uscita da Khan Yunis - vera e propria roccaforte di Hamas tenuta in scacco a lungo dai soldati - consentirà "ulteriori opportunità operative e per l'intelligence" che resta sul campo.
Operazioni mirate nei confronti dei miliziani di Hamas e dei loro capi e, soprattutto, per le ricerche dei circa 130 ostaggi israeliani ancora in prigionia. Altro obiettivo è di non mettere ulteriormente a rischio le vite dei soldati israeliani nei combattimenti ravvicinati: solo ieri ne sono morti 4 con un bilancio totale salito a 260. Mentre la stretta sorveglianza sul Corridoio Netzarim consente all'Idf la possibilità di condurre raid nel nord e nel centro della Striscia, impedisce ai palestinesi sfollati di rientrare nel nord dell'enclave palestinese e permette alle organizzazioni umanitarie di consegnare gli aiuti direttamente nel nord di Gaza. Israele ha infine assicurato di essere pronto a rispondere "a qualsiasi scenario che si possa sviluppare con l'Iran", che continua a minacciare una rappresaglia per l'attacco al consolato a Damasco in cui sono morti alti funzionari dei Pasdaran. Minacce ribadite anche nelle ultime ore da Teheran, ma che prendono di mira gli interessi dello Stato ebraico all'estero: "Nessuna delle ambasciate israeliane nel mondo è più sicura".
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