"Ci stiamo pensando". Joe Biden apre con queste parole un nuovo spiraglio alla speranze di libertà di Julian Assange, inseguito da quasi tre lustri dagli Usa in una caccia senza quartiere e in attesa dell'ultimo verdetto britannico sulla contestatissima procedura di estradizione verso Washington dietro le mura del carcere di sicurezza londinese di Belmarsh: dove giusto oggi compie 5 anni tondi di detenzione in cella, senza lo straccio di una condanna alle spalle.
Poche parole che potrebbero non significare nulla, se sfuggite di bocca - come capita - all'81enne presidente americano; ma anche voler dire tutto, se pronunciate a ragion veduta, per il destino del 52enne attivista e giornalista australiano cofondatore di WikiLeaks: sotto tiro per aver a suo tempo diffuso (o fatto diffondere) urbi et orbi carrettate di file riservati sottratti al Pentagono o al Dipartimento di Stato e contenenti fra l'altro non poche rivelazioni incresciose su crimini di guerra commessi fra Afghanistan e Iraq.
Una "colpa", nella narrazione delle autorità d'oltre oceano, che gli è valsa l'accusa di aver messo a repentaglio la vita di imprecisati informatori e addirittura quella di violazione di una vetusta legge sullo spionaggio, il draconiano Espionage Act del 1917, mai sollevata in oltre 100 anni di storia per casi di pubblicazione di documenti sui media. E in base alla quale è scattata la richiesta di estradizione, presentata dagli Usa al Regno Unito, dove Assange si trovava in quel momento, contro cui la difesa dell'ex primula rossa australiana si appresta a giocare le carte di un estremo ricorso - questo mese o il prossimo - appeso al filo di un verdetto di ammissibilità condizionata emesso a marzo dall'Alta Corte di Londra in appello.
Ricorso che diventerebbe del resto superfluo se gli Stati Uniti dovessero alla fine decidere di far cadere il dossier.
Liberandosi da un imbarazzo che rischia di proiettare qualche ombra persino sulle rivincita presidenziale di novembre fra Biden e Donald Trump. Ma anche venendo incontro alle pressioni crescenti del governo di un Paese amico come l'Australia, alleato strategico di Washington sia nel gruppo dei Five Eyes (comunità d'intelligence dell'anglosfera di cui fanno parte pure Gran Bretagna, Canada e Nuova Zelanda), sia sul fronte dell'escalation della tensione geopolitica nel Pacifico con la Cina.
Interpellato sulle più recenti sollecitazioni rimbalzate al riguardo da Canberra, dove da due anni è al potere il progressista Anthony Albanese, il leader della Casa Bianca non si è in realtà sbilanciato oltre misura. Ma non ha nemmeno chiuso la porta alla prospettiva d'una sorta di atto di clemenza: "We're considering it", ha tagliato corto, lasciando intendere per la prima volta non soltanto di non escludere nulla (assieme al suo staff), ma di stare - appunto - "pensandoci".
Un accenno su cui i sostenitori di Assange - dalla moglie Stella Morris, ai compagni di WikiLeaks, agli esponenti politici internazionali, attivisti dei diritti civili ed esperti dell'Onu che giudicano l'indagine contro di lui alla stregua di un pericoloso precedente se non di una persecuzione politica non troppo dissimile da quella subita in Russia da Alexei Navalny - restano per ora molto cauti. E prevalentemente taciturni. Ma che, salvo conferme, potrebbe preludere a un qualche progresso concreto rispetto all'ipotetico negoziato evocato il mese scorso dalla stampa statunitense sull'idea di un patteggiamento stando al quale Julian si dovrebbe piegare a dichiararsi colpevole del reato minore di cattiva gestione d'informazioni classificate per evitare la mannaia della legge sullo spionaggio (la cui pena massima rischia di essere sulla carta l'ergastolo). E ottenere in questo modo la libertà immediata, visti gli anni di reclusione preventiva già scontati a Londra.
Kristinn Hrafnsson, il giornalista d'inchiesta islandese che ha ereditato da Assange la guida di WikiLeaks, ha ribadito d'altronde oggi stesso, a margine di un nuova manifestazione organizzata in vista del quinto anniversario di carcerazione del reprobo che l'auspicio rimane quello di "una soluzione politica", dopo "5 anni di galera eccessivi e brutali". Soluzione che solo Joe Biden può oggi assicurare.
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