Se Israele risponderà all'attacco di sabato scorso, l'Iran è pronto ad usare "un'arma mai utilizzata prima". Teheran spinge l'acceleratore sulle minacce in attesa del contrattacco dello Stato ebraico, a meno che gli Usa e la comunità internazionale non riescano a frenare ancora Netanyahu. "I sionisti farebbero meglio a comportarsi razionalmente, perché se dovessero intraprendere un'azione militare contro Teheran siamo pronti a usare un'arma che non abbiamo mai usato prima", ha dichiarato il portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano Abolfazl Amouei. "L'attacco dell'Iran volto a punire l'aggressore Israele ha avuto successo e ora annunciamo con decisione che qualsiasi mossa di ritorsione contro l'Iran riceverà una risposta orribile, diffusa e dolorosa", ha insistito anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Mentre il premier israeliano, la cui posizione sulla risposta a Teheran è nota, ha ribattuto che "c'è l'Iran dietro Hamas, dietro Hezbollah, dietro gli altri, ma siamo determinati a vincere a Gaza e a difenderci in tutte le altre arene".
Negli sforzi della comunità internazionale per rassicurare Israele va letto l'annuncio Usa di nuove sanzioni contro il regime degli ayatollah, che lo Stato ebraico negli anni passati ha più volte, invano, sollecitato. L'obiettivo è di calare sul tavolo ogni carta possibile pur di impedire che la reazione israeliana porti ad un'escalation del conflitto. "Mi attendo che prenderemo ulteriori azioni in senso di sanzioni nei confronti dell'Iran nei prossimi giorni", ha annunciato la segretaria al Tesoro Janet Yellen nel corso di una conferenza stampa a margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale. Ma Israele per ora resta sulle sue posizioni: la risposta ci sarà e sarà calibrata "nel luogo e nel momento" adatti, perché l'Iran non può "passarla liscia". "Non possiamo restare fermi davanti a questo tipo di aggressione, Teheran non ne uscirà impunemente", ha confermato il portavoce militare Daniel Hagari.
Il gabinetto di guerra israeliano si è riunito anche oggi - la terza volta in tre giorni - per esaminare la situazione. Benny Gantz, che ne fa parte, pur convinto della necessità di replicare all'Iran, ha ribadito che la reazione non può prescindere dal "coordinamento con gli Usa", che hanno fatto la parte del leone nell'ombrello protettivo che ha affiancato Israele nel neutralizzare il 99% dei droni e dei missili lanciati sabato notte dall'Iran. La struttura che governa la guerra di Israele - composta da cinque ministri, compreso Benyamin Netanyahu - sta dunque soppesando le varie opzioni: la risposta diretta sul suolo iraniano, l'attacco agli alleati sciiti nell'area, Hezbollah in testa, o azioni mirate contro i capi dei pasdaran in patria e all'estero. La necessità è anche quella di non mettere in pericolo i Paesi arabi della regione, come è stato assicurato a Egitto, Giordania e agli Stati del Golfo. Non a caso il ministro degli Esteri di Amman Ayman Safadi ha ammonito che la Giordania "non accetterà che si renda il Paese un ulteriore terreno di guerra".
Se gli Usa premono su Israele, Vladimir Putin pressa entrambe le parti. "La speranza è che Iran e Israele esercitino la moderazione per evitare una nuova escalation", ha detto il presidente russo in una telefonata con Raisi. Erdogan non ha perso invece l'occasione per accusare ancora una volta Netanyahu, al quale il leader turco si è riferito come "il principale responsabile" dell'attacco dell'Iran contro Israele e dell'incendio che sta divampando in Medio Oriente. Se Teheran è il prossimo obiettivo di Israele, gli Hezbollah libanesi sono quelli più a ridosso. Anche oggi sono continuati i botta e risposta (due droni sono esplosi nel nord dello Stato ebraico), con l'Idf che ha annunciato di aver ucciso un alto comandante dei miliziani sciiti.