L'Isis è debellato ma non ancora completamente sconfitto. La crisi internazionale e l'instabilità dei Paesi del Medio Oriente rischiano di risvegliare le cellule dormienti, quei terroristi pronti a colpire in nome dell'autoproclamato Califfato che dieci anni fa ormai seminò morte e terrore anche in Europa. E chi più di tutti ha contezza del pericolo alle porte è l'esercito peshmerga, forza militare del Kurdistan iracheno che da sempre combatte contro il terrorismo islamico. Al suo fianco, nell'addestramento e nella formazione militare, ci sono i soldati italiani della missione Prima Parthica, dal 2014 di stanza a Erbil, proprio nel cuore della regione autonoma irachena. "Abbiamo avuto un grande supporto da parte dell'esercito italiano nel combattere e vincere l'Isis - sono le parole del ministro dei peshmerga, Shoresh Ismail, incontrando il comandante della missione, il colonnello Francesco Serafini -. Speriamo di poter diventare ancora più amici e continuare a lavorare tutti insieme".
La collaborazione dei nostri militari è stata uno dei "sostegni più importanti che abbiamo ricevuto", ha evidenziato il ministro. "L'Italia è stata tra i primi ad aiutare il nostro popolo e il nostro esercito nel combattere l'Isis - ha continuato Ismail durante un incontro con i giornalisti italiani -. Un'intesa che continua ancora oggi e che ha portato al miglioramento delle competenze professionali dei nostri militari. Senza questo contributo non saremmo mai riusciti a raggiungere certi standard". Per questo, di fronte alle ventilate ipotesi di un ritiro delle forze militari della coalizione, il titolare della Difesa curdo esprime la propria contrarietà. "Se il contingente dovesse mai andar via - evidenzia - si aprirebbe uno spazio gigantesco di grande disagio e tantissimi problemi", legati anche alla possibilità, neanche tanto recondita, del ritorno del terrorismo islamico. "I peshmerga - ha continuato - sostengono la permanenza della coalizione, anche con le truppe statunitensi".
A preoccupare maggiormente il governo curdo sono alcune zone dell'area, che vanno dal sud est del Kurdistan iracheno fino al confine con la Siria, particolarmente instabile per l'assenza di truppe militari anti-Isis. "Per questo - ha sottolineato il ministro - stiamo realizzando due brigate comuni con militari iracheni e peshmerga che operino in quell'area di forte instabilità e dove l'Isis si prepara a rialzare la testa". A questo si aggiunge, inevitabilmente, la crisi mediorientale e la tensione tra Iran e Israele. Droni e missili solcano il cielo iracheno, in quello scambio di accuse che vedono sul piede di guerra Teheran e Tel Aviv. "L'auspicio - ha sottolineato il ministro dei peshmerga - è che la situazione in Medio Oriente possa risolversi nel più breve tempo possibile. Come popolo curdo abbiamo sempre cercato la via della pace, nonostante siamo stati vittima di genocidio e di violenze atroci. Personalmente spero che si sia finalmente capito che il sangue non risolve nulla. Il Kurdistan da sempre è un luogo di pace e di vita, di convivenza tra popoli e religioni diverse. Prima del 1948 qui vivevano anche molti israeliani, senza alcun problema". "La guerra è una sconfitta per tutti", le ultime parole del ministro salutando la delegazione italiana di ritorno a Camp Singara, nella base di Erbil.
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