Filorusso, contro le armi a Kiev e l'ingresso dell'Ucraina nella Nato, duro con i migranti, chiuso a ogni concessione sul fronte dei diritti Lgbt e delle nozze gay. Robert Fico, classe 1964, ha abbandonato ogni sfumatura europeista dell'inizio della sua carriera politica per abbracciare, col tempo, posizioni sempre più nazionaliste. Avvicinandosi più a Budapest che a Bruxelles e diventando una spina nel fianco dell'Europa: insieme a Viktor Orban, è diventato un potenziale ostacolo per le decisioni a maggioranza dei 27.
Nella sua ultima campagna elettorale ha attaccato più volte l'Ue per il sostegno a Kiev ma anche per le sanzioni a Mosca. E da sempre si è opposto all'adesione dell'Ucraina all'Alleanza Atlantica, ribadendo la sua posizione solo qualche mese fa quando ha annunciato che Bratislava (che nella prima fase della guerra aveva contribuito con meno dell'1% allo sforzo europeo), non avrebbe più fornito armi a Zelensky.
Fico è tornato alla guida del Paese da meno di un anno, da quando nell'ottobre 2023 ha ricevuto il quarto mandato con il suo partito populista di sinistra, lo Smer Ds, che ha sbaragliato la concorrenza dei progressisti aggiudicandosi il 23% alle elezioni, davanti ai liberal-progressisti pro Ue (Ps). Dopo un esordio in politica con una matrice fortemente europeista (con lui la Slovacchia è entrata nell'euro), Fico - nato nel settembre del 1964 nell'allora Cecoslovacchia - nel corso della sua carriera politica ha man mano virato verso posizioni sempre più populiste. Il suo partito all'Eurocamera siede tra i banchi di Socialisti e Democratici, ma le sue posizioni, come quelle sui migranti, somigliano più a quelle delle destre, tanto da essere stato espulso dai Socialisti europei.
Nato il 15 settembre 1964 a Topolcany, si è laureato in legge a Bratislava per poi iscriversi al Partito Comunista. Dopo la Rivoluzione di Velluto che portò alla nascita della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca, è entrato nel Partito della Sinistra Democratica (Sdl). Dal 1994 al 2000 ha rappresentato Bratislava presso la Corte europea dei diritti dell'uomo e negli stessi anni ha iniziato la sua ascesa nell'agone politico: lasciata la Sinistra Democratica ha fondato lo Smer, presentandosi agli elettori come un'alternativa ai comunisti e ai socialisti, una sorta di sinistra più centrista.
Il partito debutta al voto nel 2002 e diventa il terzo del Paese e la maggiore forza di opposizione ai democristiani di Dzurinda. Solo 4 anni dopo nelle successive elezioni il partito di Fico, sempre più verso posizioni nazionaliste, sfonda e vince con oltre il 29% delle preferenze: un risultato che incorona Fico premier per la prima volta, alla guida di una coalizione con l'Sns e l'Hzds.
Nelle elezioni successive vince ancora ma fallisce nella formazione di una coalizione e torna all'opposizione. Poi, due anni dopo, il Paese torna alle urne e per lo Smer è un plebiscito di voti: supera il 44% e Fico riprende la guida del governo. Poi, ancora, un nuovo mandato (il terzo) nella legislatura successiva, finito nel 2018 dopo le proteste di piazza per la morte del giornalista d'inchiesta Jan Kuciak e della sua compagna Martina Kusnirova. Il reporter lavorava sulle tracce di truffe e corruzione sui fondi Ue a Bratislava.
Una vicenda in cui si era anche evocata la vicinanza alla 'Ndrangheta di alcuni politici vicini al premier, che sembrava aver segnato il tramonto di Fico. Ma lo scontento popolare per i governi di destra di Heger e poi di Odor lo hanno riportato sulle schede elettorali nell'ultima tornata, quella dell'ottobre del 2023, vincendo ancora. E aggiudicandosi il quarto mandato alla guida dell'esecutivo slovacco.
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