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Mosca oscura media stranieri, anche Rai e siti italiani. Farnesina: 'Misura ingiustificata'

Stop all'accesso ai siti di 81 media di Paesi Ue in risposta a analoghe misure adottate contro tre russi

Redazione Ansa

La Russia ha risposto al blocco delle attività di trasmissione di tre suoi media nell'Unione europea oscurando a sua volta i siti di 81 testate di Paesi dell'Unione, compresi quelli della Rai, di La7, della Repubblica e della Stampa. Mentre dall'Aja la Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso due nuovi mandati di arresto per l'ex ministro della Difesa russo Serghei Shoigu e per il capo di stato maggiore, Valery Gerasimov, accusandoli di "crimini di guerra" e "crimini contro l'umanità" per i bombardamenti missilistici sulle centrali elettriche in Ucraina.

Mosca ha annunciato il blocco dei siti europei dopo l'entrata in vigore, oggi, del bando sul territorio della Ue di quelli dell'agenzia Ria Novosti e dei giornali Izvestia e Rossiyskaya Gazeta, accusati da Bruxelles di essere organi della propaganda del Cremlino per "portare avanti e sostenere la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina e per la destabilizzazione dei Paesi vicini".

Il Paese più colpito dalla ritorsione russa è la Francia, con il blocco dei siti di nove media, tra i quali l'agenzia Afp. "La parte russa ha avvisato ripetutamente e a vari livelli" che "la persecuzione politicamente motivata" di giornalisti russi e il bando a media russi nella Ue "non sarebbero stati ignorati", ha affermato il ministero degli Esteri. "Nonostante questo - si legge ancora in un comunicato - Bruxelles e i Paesi membri hanno scelto di seguire la strada della escalation, costringendo Mosca ad adottare contromisure simmetriche e proporzionate". Tali contromisure, secondo la diplomazia russa, hanno preso di mira media della Ue che "sistematicamente diffondono false informazioni sull'andamento dell'operazione militare speciale", cioè sul conflitto in Ucraina.

 

La Farnesina ha riposto definendo "ingiustificata" la decisione di Mosca e dichiarando che le emittenti e le testata giornalistiche italiane "hanno sempre fornito un'informazione oggettiva e imparziale sul conflitto in Ucraina". La Russia ha scelto di "utilizzare in maniera distruttiva la violenza in Ucraina" con "azioni che sono contrarie al diritto internazionale e a ogni principio di legalità e di convivenza civile", e tutto questo "non verrà cancellato dai divieti imposti ai media e ai giornalisti italiani e di tutto il mondo", conclude il ministero degli Esteri italiano.

Anche il gruppo Gedi, editore di Repubblica e Stampa, si è rammaricato per le contromisure, affermando che "danneggeranno in ultima istanza i soli cittadini russi", e ha detto di rimanere impegnato a "garantire un'informazione libera e di qualità". Per quanto riguarda i mandati di arresto per Shoigu e Gerasimov, la Cpi ha spiegato che la misura si riferisce a bombardamenti missilistici contro infrastrutture elettriche condotti dall'ottobre del 2022 al marzo del 2023. Secondo la Corte, i raid erano "diretti contro obiettivi civili", ma anche nel caso che tali strutture potessero essere qualificate come obiettivi militari, "i danni civili che potevano essere previsti sarebbero stati chiaramente eccessivi rispetto al vantaggio militare" auspicato. Gerasimov è ancora capo di stato maggiore, mentre Shoigu, che all'epoca dei fatti contestati era ministro della Difesa, è attualmente segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale.

La decisione della Cpi, ha affermato quest'ultimo organismo, è "insignificante" perché la giurisdizione della Corte non si estende alla Russia, che non ne fa parte, ed è stata presa "nel quadro della guerra ibrida dell'Occidente contro il nostro Paese". Volodymyr Zelensky ha invece accolto con favore l'annuncio, affermando che "ogni criminale coinvolto nella pianificazione e nell'esecuzione" degli attacchi in Ucraina "deve sapere che sarà fatta giustizia". "Speriamo di vederli dietro le sbarre", ha aggiunto il presidente ucraino, dicendo di aspettare "ulteriori mandati di arresto". Nel marzo del 2023 la Cpi aveva emesso mandati di arresto anche per il presidente russo Vladimir Putin e per Maria Llova-Belova, commissaria della presidenza per i diritti dei minori, accusandoli di "crimini di guerra" per la deportazione di bambini dall'Ucraina. Una imputazione respinta dalle autorità di Mosca.

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