Il Fronte popolare dopo la vittoria è un cantiere. Lavori in corso, facce sorridenti ma non troppo, diffidenza, riunioni dalle quali non trapela nulla.
La campagna elettorale ha esasperato le divergenze, il carattere più che focoso del tribuno che guida la truppa ha fatto il resto. L'esasperazione dialettica, le intemperanze verbali, la noncuranza per la sensibilità di intere fasce di elettori - ad esempio gli ebrei, feriti dal sapore antisemita di certe dichiarazioni - hanno reso sempre più difficile la convivenza di personalità forti con Jean-Luc Mélenchon. I guardiani dell'ortodossia, Manuel Bompard e Mathilde Panot prima di tutti, non fanno una piega: "Tutto sta andando bene, noi andiamo avanti soltanto per applicare il nostro programma". Che prevede misure come l'abrogazione immediata della riforma delle pensioni con il limite che ritornerebbe a 60 anni, il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità, il salario minimo a 1.600 euro, e così via. Costi altissimi, oltre i 100 miliardi, e conseguente impennata delle tasse.
Liti e prese di posizione con le personalità più spiccate hanno portato a vere e proprie epurazioni, con quattro dissidenti ai quali è stata negata l'investitura per la rielezione: Alexis Corbière, Danielle Simonnet e Hendrik Davi sono stati rieletti anche senza l'ombrello del partito, una chiara sconfessione per Mélenchon. Raquel Garrido, un'esponente molto popolare, invece ha perso. Questa mattina, subito dopo la vittoria, un personaggio mediatico del partito come Clémentine Autain ha annunciato di voler migrare "in un nuovo gruppo politico", accusando i vertici di "purghe". Prima di lei, aveva sbattuto la porta François Ruffin, una colomba nel movimento, da tempo considerato il successore di Mélenchon. Ha accusato il capo di essere "un peso morto" ed è andato a farsi eleggere da indipendente. Più volte, nelle settimane di campagna elettorale, è stato fatto il suo nome come salvagente nel caso di ostinazione di Mélenchon a presentarsi come candidato premier.
Domenica sera il suo nome è sfuggito anche a Raphael Glucksmann quando gli è stato chiesto un papabile da proporre a Macron.
Nel pomeriggio, le varie componenti del Nuovo Fronte Popolare si sono riunite ognuna con i propri compagni di partito, gli Insoumis in un caffè alla Gare de l'Est. In serata, riunione generale per cominciare a disegnare il profilo di un premier che metta d'accordo tutti. Olivier Faure, il segretario dei socialisti che condivide con Glucksmann il merito di aver ricostruito un partito in macerie, ha garantito stamattina che "entro la settimana decideremo chi sarà il nostro candidato premier". La scelta, idealmente, non dovrebbe trasformarsi in una delle tradizionali guerre fratricide della sinistra: "Sceglieremo per consenso - ha detto il saggio Faure -, altrimenti ci sarà necessariamente un voto" delle diverse formazioni che costituiscono l'alleanza. Un'eventualità che, per ora, si cerca di scongiurare.
Gauche a caccia del candidato premier, spunta Ruffin
Ma nella France Insoumise si regolano i conti con Mélenchon