C'è stato un tempo, breve e illusorio, in cui una parte della diplomazia occidentale ha guardato ad Ismail Haniyeh come ad un possibile appiglio per il dialogo con Hamas. Dopo che nel 2006 il partito islamista vinse le elezioni, Haniyeh fu nominato dal presidente Abu Mazen primo ministro dell'Autorità Palestinese in un governo di unità nazionale. Era un leader in ascesa, integralista ma più dialogante di altri dirigenti. La coabitazione con Abu Mazen durò una manciata di mesi. Nel giugno del 2007 Hamas prese il controllo della Striscia cacciando Fatah e innescando una battaglia sanguinosa e fratricida. Il governo fu dissolto, Haniyeh scivolò rapidamente verso le posizioni oltranziste che lo hanno portato ad essere definito dagli Usa "un terrorista globale".
Haniyeh era nato 61 anni fa nel campo profughi di Shati, che in italiano vuol dire spiaggia. Era figlio di un pescatore e dopo aver studiato alle scuole dell'Unrwa si laureò in letteratura araba all'università di Gaza. L'abbraccio con Hamas risale alla Prima Intifada della fine degli anni Ottanta. In quegli anni fu arrestato più volte dagli israeliani, tra il 1988 e il 1992. Poi fu costretto all'esilio nel sud del Libano. Tornò a Gaza dopo un anno e cominciò la sua ascesa politica, che lo portò a diventare il braccio destro dello sceicco Ahmed Yassin, l'anziano e ormai quasi totalmente paralizzato fondatore di Hamas. Quando, nel 2004, Yassin fu assassinato da Israele, a capo dell'organizzazione si pose un triumvirato del quale Haniyeh era leader de facto.
Fu designato capolista alle elezioni del 2006, che lo portarono alla carica di primo ministro. Dopo la battaglia con Fatah, Haniyeh decise di restare nella Striscia. Aumentò i legami con Hezbollah, Turchia, Qatar, ma soprattutto Iran, dal quale nel 2022 sostenne di aver ricevuto risorse militari per 70 milioni di dollari.
Fu accusato dalle cancellerie occidentali di dirottare costantemente gli aiuti umanitari nell'acquisto di armi. Nel 2017 fu nominato capo politico di Hamas. Lasciò Gaza nelle mani di Yahya Sinwar, leader militare e operativo che ha accentuato la matrice terroristica delle azioni dell'organizzazione. Haniyeh, trasferitosi in Qatar, si è invece trasformato nel fulcro delle relazioni esterne di Hamas, viaggiando costantemente tra Il Cairo, Doha, Teheran, Beirut e Ankara. Ha sempre rivendicato la lotta armata e nel 2018 il Dipartimento di Stato lo ha inserito nella lista dei terroristi. Il suo nuovo ruolo, complici anche le foto che lo ritraevano in lussuose location mentre a Gaza si soffriva la fame, gli ha tuttavia fatto perdere l'aura di uomo del popolo per cui era apprezzato dalla sua gente. Non è mai stato chiaro chi negli ultimi anni, tra Haniyeh e Sinwar, abbia avuto l'ultima parola sulle decisioni di Hamas, ma secondo diversi analisti sugli ultimi tragici eventi - a cominciare dal massacro del 7 ottobre fino alle ripetute interruzioni dei negoziati - alla fine ha prevalso il secondo. Haniyeh, tuttavia, non ha mai abdicato dal ruolo di tessitore dell'asse della Resistenza, dicendosi allo stesso tempo disponibile ad un cessate il fuoco in caso di ritiro di Israele da Gaza.
Il 10 aprile le bombe dell'Idf hanno ucciso nella Striscia tre suoi figli e quattro nipoti. Haniyeh ha reagito rispolverando il suo integralismo e affermando che "tutto il nostro popolo e tutte le famiglie di Gaza hanno pagato un pesante prezzo di sangue, e io sono uno di loro". Le ultime immagini che girano su X lo ritraggono a Teheran, alla cerimonia di investitura del presidente iraniano Massoud Pezeshkian. Attorniato da quelle guardie del corpo che nulla hanno potuto contro il raid notturno di Israele.
Leggi l'articolo completo su ANSA.it