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L'attesa di Tel Aviv tra paura e rassegnazione

Caccia alle vecchie radioline per timore di attacchi alle reti

Redazione Ansa

Tel Aviv chiude per lo Shabbath, il giorno di riposo in Israele. Un'atmosfera di rassegnazione, rimozione e paura permea la città, mentre si susseguono incalzanti le notizie di un prossimo attacco da parte dell'Iran e dei suoi alleati regionali. In un vecchio negozietto della centralissima via King George in tanti chiedono gli ultimi "transistor" rimasti. Sono andati a ruba negli ultimi giorni per timore di danni alle reti elettriche e di comunicazione.

Tuttavia, 30 euro sembrano troppi per una radiolina a manovella.

Il rifiuto di avere paura lo rivela una giovane coppia che passeggia con un bambino di pochi mesi sotto gli alberi di Rotschild boulevard. Non vogliono dire il loro nome, sono molto ritrosi, fanno difficoltà a dire come si sentono, come stanno vivendo questo momento: "Va tutto molto bene, non ci vedi?", risponde lui, "siamo qui con il nostro bambino". Sembrano una coppia di ritorno dalla spiaggia di una località di vacanza, ma la verità è che hanno uno sguardo triste. "Tutto andrà per il meglio, siamo ottimisti", aggiunge lei.

Shosh, Tomer e Daniel, seduti in una famosa pasticceria di Tel Aviv, sembrano sereni, ma dalle loro parole traspare stanchezza e disperazione. "Come ci si può sentire in questi giorni? Un orrore", dice Shosh, la madre di Daniel. "Siamo molto preoccupati per la situazione... tanti morti da una parte e dall'altra, gli ostaggi nei tunnel da mesi". E poi la minaccia iraniana. "Quella è presente tutto il tempo", dice Shosh. Interviene la figlia Daniel: "Non mi preoccupa più di tanto. Dopo quello che è successo il 7 ottobre, nulla più ci allarma.  Almeno in questo caso sappiamo cosa fare: entrare subito in un rifugio antiaereo".

La proprietaria del Frida Café è una giovane arabo-israeliana di nome Islam. Sta scherzando con i suoi clienti. E' disponibile a raccontare come sta vivendo in questo momento. "Incertezza, molta tensione soprattutto per il mio lavoro", dice. Poi aggiunge che non ascolta le notizie per non essere stressata e preoccupata. "Il mio bar ha lavorato meno quest'anno, a parte il sabato". Dor, Nir, Yonathan e Yonathan hanno ventun anni e sono seduti a uno dei tavolini. Dicono di non essere preoccupati: "I nostri nemici ci minacciano perché non vogliono che continuiamo a vivere normalmente e noi non vogliamo fare il loro gioco", dice uno di loro. "Lavoro in un ristorante e in questi giorni arriva meno gente - aggiunge Nir -. Hanno paura che succeda qualcosa oggi o domani, o forse dopodomani".

Hamush, arabo-israeliano di Baqa al-Gharbiyye e proprietario della frutteria sulla piazzetta Masariq, si lamenta: "In questi giorni c'è meno gente in giro. Oggi l'affluenza non è come di solito il venerdì. Paura? È scritto in cielo...". Dall'altra parte della strada c'è un famoso pub, chiuso per lunghi mesi durante la guerra perché il proprietario era a Gaza nelle riserve. Ora c'è Ofir, che sorride. Tre ragazzi sono intenti a chiacchierare davanti a un aperitivo. "Sono molto preoccupato, per la prima volta ho paura di morire", dice Yoav, 21 anni. Il suo amico Reut ha la famiglia a Manara, nel nord, e raggiungerà i suoi genitori in caso di attacco: il padre è un militare, è rimasto a difendere il kibbutz. 
   

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