È già bufera sul governo laburista britannico di Keir Starmer, in apertura della settimana destinata a sfociare nella ricorrenza dei primi 100 giorni al potere. A suggellare il cambiamento di clima, a soli tre mesi dal trionfo elettorale del 4 luglio (trionfo di seggi, seppure non di consensi), sono state ieri, nell'interpretazione pressoché unanime dei media, le "dimissioni" da capo dello staff del premier di Sue Gray, considerata finora una sorta di potentissima zarina dell'apparato di Downing Street. Un vero e proprio siluramento, in realtà, sullo sfondo delle polemiche seguite allo 'scandalo dei regali' incassati dal capo dell'esecutivo, dalla first lady e da figure di primo piano del Labour dopo tanti inni alla legalità, nonché dei sospetti di nepotismo e avidità adombrati sulla stessa Gray, oltre che sul suo ruolo di firmataria del passi d'accesso a number 10 concesso inizialmente al più munifico donatore di sir Keir e soci di partito, il chiacchierato uomo d'affari lord Waheed Alli.
Ufficialmente Gray, sbattuta sulle prime pagine della stampa popolare destrorsa anche per le rivelazioni recenti sul compenso d'oro (preteso a un livello più alto dell'appannaggio del primo ministro in persona, come fatto filtrare dall'interno dello staff starmeriano in un contesto di evidente guerra sotterranea con altri consiglieri ed alti funzionari) si è dimessa volontariamente per evitare di rappresentare "una distrazione". Ed è stata riciclata subito nei panni di emissaria del governo centrale per "i rapporti con le nazioni e le regioni" del Regno.
L'operazione è stata difesa oggi da Starmer, attraverso un portavoce, come un modo per ricompattare "le strutture governative" e "rafforzare il funzionamento di Downing Street" per "agire meglio al servizio del Paese". Spiegazioni vaghe dietro le quali, secondo Chris Mason, political editor della Bbc, si nasconde il fatto che il primo ministro avesse deciso di sacrificare la testa di lady Sue fin da venerdì, se ella non avesse accettato di farsi da parte. Con l'onore delle armi di una nuova nomina che non è altro se non un clamoroso "demansionamento" dal centro della macchina del potere a un incarico "part time finora inesistente": frutto delle indiscrezioni che non hanno risparmiato la stessa famiglia di Gray (a partire dall'ascesa improvvisa di suo figlio 29enne da gestore di un fast food a deputato laburista) e neppure il ruolo chiave da lei giocato 2-3 anni fa - nella veste di funzionaria dello Stato sulla carta neutrale ricoperto prima di passare armi e bagagli nell'entourage di Starmer - nelle indagini amministrative sul cosiddetto Partygate dell'era Covid che nel 2022 contribuì alla caduta dell'allora premier conservatore Boris Johnson.
Al suo posto è stato del resto scelto Morgan McSweeney, 47enne ex capo della macchina elettorale del Labour di origini irlandesi indicato apertamente da settimane come il nemico numero 1 dell'ormai ex zarina nel cerchio magico. Non solo, ma il rimpasto ha riguardato l'intero vertice del team personale di Starmer, con la designazione di due nuovi vicecapi dello staff, di un segretario privato nella persona dell'ex manager della sanità Nin Pandit, fino a ieri fidato consigliere politico, e soprattutto di un nuovo responsabile delle pr di Downing Street: James Lyons, veterano del giornalismo e dei tabloid, ex Daily Mirror ed ex Sunday Times, incaricato evidentemente di provare a riverniciare l'immagine del premier - in caduta libera in qualche sondaggio - e a rispostare la narrazione mediatica dalle accuse di "ipocrisia" sulle regalie di ricchi sostenitori alle realizzazioni (o almeno agli annunci) di un Labour risorto con la promessa di restaurare la fiducia dei britannici in "un governo di servizio pubblico" dopo gli scandali e i privilegi imputati come un mantra alle precedenti amministrazioni Tory al potere per 14 anni. Governo che peraltro si prepara a dover presentare in Parlamento il 30 ottobre un'impopolare manovra d'autunno di tagli e tasse per far fronte al "buco finanziario ereditato" dal passato.
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