Primo piano

Turchia, Ocalan dal carcere apre alla fine della lotta armata 

Entrambi gli attentatori di Ankara membri del Pkk 

Redazione Ansa

Dalla lotta armata a quella politica e legale. Dopo anni di silenzio torna a parlare Abdullah Ocalan, lo storico leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), la formazione armata curda, di orientamento socialista, che ha contribuito a fondare nel 1978 e alla quale il governo di Ankara ha attribuito l'attentato compiuto mercoledì nella sede dell'Industria Aerospaziale nei pressi della capitale. "Se ci sono le giuste condizioni, ho il potere teorico e pratico per spostare questo processo dal terreno del conflitto e della violenza al piano legale e politico", ha detto il leader 75enne che ha passato gli ultimi 25 anni della sua vita in prigione e ha potuto inviare questo messaggio dopo avere ricevuto in carcere un suo parente e deputato del partito filocurdo Dem, la terza forza più rappresentata nel Parlamento turco, prima visita ricevuta dal 2020.

   L'incontro in prigione è arrivato dopo un clamoroso appello lanciato, nei giorni precedenti, dal partito di estrema destra Mhp, alleato dell'Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan e con posizioni molto lontane dai curdi, che aveva invitato Ocalan a proclamare lo scioglimento del Pkk e a dichiarare la fine del terrorismo in Parlamento, alludendo a una possibile fine del suo regime di isolamento. Un'opportunità definita "storica" dallo stesso Erdogan. Con le sue parole, Ocalan pare avere raccolto in qualche modo la sfida, indicando un possibile nuovo orizzonte per il suo gruppo, da 40 anni impegnato in una sanguinosa guerra contro lo Stato turco che ha provocato la morte di oltre 40mila persone.

   L'appello arriva dal carcere di massima sicurezza sull'isola di Imrali, a sud di Istanbul nel Mare di Marmara, dove Ocalan è rinchiuso dal 1999, quando fu arrestato in Kenya dopo avere cercato asilo politico in Europa, tra cui in Italia, senza riuscirci, e ricevette una condanna a morte, poi commutata in ergastolo dopo l'abolizione della pena capitale. Non è la prima volta che il leader chiede al Pkk di abbandonare la lotta armata. L'ultimo appello risale al periodo di tregua tra Ankara e il gruppo curdo, tra il 2013 e il 2015. Un momento noto come "il processo per la soluzione", voluto da Erdogan quando era primo ministro e guidato da Hakan Fidan, allora capo dei servizi segreti e attuale ministro degli Esteri, che parlò direttamente con Ocalan. L'accordo prevedeva la fine delle ostilità e il ritiro dei militanti armati nelle basi del nord dell'Iraq, ma durò per pochi anni. La violenza esplose nuovamente nel 2015 e da allora il gruppo ha rivendicato vari attentati nel Paese, mentre Ankara bombarda regolarmente le sue basi irachene, come anche le forze curde siriane Ypg.

   Le dichiarazioni di Ocalan sono state sostenute dal partito filocurdo Dem, che si è dichiarato disponibile ad essere coinvolto in un nuovo processo di pace, ma arrivano a poche ore di distanza da un brutale attentato contro la sede dell'Industria Aerospaziale turca, in provincia di Ankara, dove due militanti del Pkk hanno fatto esplodere un ordigno all'ingresso, per poi sparare contro chiunque incontrassero, provocando la morte di cinque persone, mentre altre 22 sono rimaste ferite. L'attacco è stato condannato da tutte le forze politiche in Turchia, compreso il filocurdo Dem e dal suo leader incarcerato dal 2016, Selahattin Demirtas, che si è anche pronunciato a favore di un processo di pace guidato da Ocalan. La Turchia ha risposto all'attentato di Ankara con bombardamenti a tappeto nella Siria e nell'Iraq settentrionale, dove - secondo la Turchia - sono state distrutte basi e uccisi 59 terroristi. Mentre le forze democratiche siriane, guidate dai curdi e sostenute dagli Stati Uniti che sono presenti militarmente nel Paese, hanno dichiarato che gli attacchi di Ankara hanno ucciso 12 civili, ferendone altri 25.

 

 

 

  

 

Leggi l'articolo completo su ANSA.it