La fine (dell'intervista) in questo caso è l'inizio. "Mi spiace dirlo, ma in Ucraina stiamo perdendo la guerra". Gabrielius Landsbergis, classe '82, ministro degli Esteri lituano e nipote di Vytautas, eroe del movimento d'indipendenza baltica dall'Urss, fin dall'inizio della guerra in Ucraina è stato tra i politici europei più vicini a Kiev. Questione di confini e di storia. Ora, sull'onda delle ipotesi, sempre più reali, di un diretto coinvolgimento della Nord Corea nel conflitto, si dice "allarmato" per l'ennesimo superamento di una "linea rossa" nell'escalation del conflitto. Serve quindi riprendere l'idea della Francia d'inviare truppe in Ucraina, "in un ruolo o nell'altro", e non scartare a priori altre soluzioni, come le "compagnie d'armi private".
Landsbergis - nel corso di un'intervista all'ANSA - non risparmia critiche alla coalizione occidentale colpevole, a suo modo di vedere, di "non agire" con la necessaria decisione per fermare la Russia. "Nell'aria sento puzzo di tradimento", confida. "Ci sono molte persone che vorrebbero che l'Ucraina capitolasse così i problemi scomparirebbero, siano le sanzioni o la Nord Corea. Ma io mi domando: con tutto quello che abbiamo investito in Ucraina, politicamente e finanziariamente, l'Occidente potrebbe permetterselo?", prosegue. Anche perché, se altri Paesi pensano che basti "scambiare dei territori, dividere l'Ucraina" per fermare Putin, "si sbagliano". La storia, appunto, conta. "I Baltici sono stati scambiati, non è servito: dal nostro punto di vista siamo nel 1938".
Una visione molto netta che rispecchia però molto di quello che si pensa in un bel pezzo d'Europa, a est e a nord. "La differenza è che non possiamo più concederci il lusso dell'ingenuità alla Chamberlain: lui forse può essere scusato, noi no, noi sappiamo come funziona, se offri un pezzo di terra Mosca se ne prenderà un altro", assicura. "E oggi ci sono in giro diversi Chamberlain, solo che è più difficile ammetterlo".
La scomoda verità, dunque, è che serve fare di più. "Non parlo di un intervento Nato, ma di Parigi con altri alleati", precisa. E sull'ipotesi dei mercenari. "Ho partecipato a conversazioni in cui se ne è discusso, se alcune linee rosse potessero essere rimosse o meno, come ad esempio permettere a compagnie d'armi private di andare in Ucraina, e penso che ciò potrebbe accadere: basta vedere cosa è stato fatto sugli asset russi immobilizzati, se c'è la volontà possiamo fare molte cose". Insomma, se le cose non cambiano, il rischio è che l'Ucraina continui a perdere terreno con conseguenze nefaste per tutta l'Europa, non solo il fianco est.
C'è bisogno dunque di uno scatto in avanti. "L'Italia - sottolinea - ha dimostrato di essere davvero in grado di fornire risultati, con politici che hanno una chiara comprensione della geopolitica". "Il punto però è un altro: abbiamo stilato dei calcoli con i nostri amici nordici e abbiamo stabilito che, con le ultime consegne di aiuti militari di Svezia e Danimarca, i nostri Paesi, in termini di numeri reali, non pro capite, sono i secondi donatori dopo gli Stati Uniti. Ma le nostre economie non sono il G7".
"Quando però vediamo che i Paesi del Quod (Usa, Germania, Regno Unito e Francia) si riuniscono a Berlino per parlare, con tutta probabilità, di Ucraina, vorremmo che chi discute del futuro della regione fosse almeno all'altezza del nostro impegno finanziario, tralasciando ovviamente gli Stati Uniti".
"Noi - conclude Landsbergis - abbiamo una prospettiva diversa e credo che un rappresentante dei Paesi nordici-baltici dovrebbe essere presente in quella stanza, a quel tavolo, perché abbiamo pagato il nostro diritto di esserci, se non altro".
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