(ANSA) - VENEZIA, 16 APR - Un inganno, un tradimento di
fiducia, all'origine della separazione tra popoli e luoghi
diversi. E' la storia di "kapewe pukeni" (il ponte-alligatore),
il mito narrato dal collettivo indo-brasiliano del Movimento dos
Artistas Huni Kuin (Mahku) nel murales di oltre 700 metri
quadrati che copre la facciata del Padiglione Centrale ai
Giardini.
Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia,
intitolata "Stranieri ovunque", dal 20 aprile al 24 novembre.
E' un inno al colore, alle forme semplici di alberi, uccelli,
pesci, terre unite da un gigantesco coccodrillo. In cambio di
cibo il suo dorso veniva usato dagli uomini per passare da una
terra all'altra, ma quando gli fecero mangiare un piccolo suo
simile, l'alligatore si infuriò e si inabissò. Un'opera di
grande impatto nel suo sapore quasi naif. Una sorta di metafora
se si pensa alle persone che si trovano a dover fare i conti con
il distacco dalle origini, con il sentirsi "straniero", con
l'essere al di fuori dagli schemi tradizionali di
un'appartenenza nazionale o di genere. "Migrazione" e
"decolonizzazione" sono due delle parole chiave della mostra
curata da Adriano Pedrosa, tra i Giardini e l'Arsenale.
Questioni che parlano di parti del mondo, in particolare il Sud
America, per lungo tempo ai margini della storia scritta da
altri Paesi cosiddetti sviluppati.
Sembra svilupparsi come un'unica forma organica, con varie
diramazioni interne, a volte senza netti confini, l'esposizione
voluta da Pedrosa che ha scelto di articolare il tema attraverso
i lavori di 331 artisti, in gran parte estranei ai complessi
sistemi dell'arte contemporanea e presenti per la prima volta.
"Straniero ovunque" prende così forma, all'interno di due Nuclei
tematici (Storico e Contemporaneo) con le opere che spaziano
nel tempo e parlano linguaggi artistici di terre per troppo
tempo lasciate ai margini, non euro-statunitensi, con molto
tessile, pittura, scultura e poco digitale. Pedrosa, primo
curatore della Biennale Arte proveniente dal Sud America
(Brasile) ha sviluppato un percorso che da rilievo ad artisti
Queer, spesso messi al bando per il loro muoversi all'interno di
più sessualità o generi, Outsider ai margini del mondo
dell'arte, Folk o Popular, Indigeni, trattati come "stranieri in
patria". Tra quest'ultimi, molti gli esempi di legami familiari,
di lavori di genitori e figli: ad esempio Fred e Brett Graham o
Santiago e Rember Yahuarcani.
"Questa edizione della Mostra - rileva in un passo del suo
intervento in catalogo il neo presidente della Biennale
Pietrangelo Buttafuoco - ospita frammenti di bellezza
marginalizzata, esclusa, punita, cancellata da schemi di
geo-pensiero dominante", evidenziando, tra l'altro, che Venezia
"culla dolce di conoscenza e comunicazione tra popoli, etnie e
religioni" è la piazza naturale "da cui smistare nuovi punti di
vista e Fare Mondi, per dirla con un lessico qui di casa". Ai
Giardini e all'Arsenale accoglie i visitatori la scritta neon
che da il titolo all'esposizione opera del collettivo Claire
Fontaine. Una sala del Padiglione Centrale, all'interno del
Nucleo Storico, è riservata agli artisti italiani che hanno
operato all'estero, specie nell'America Latina. Tanti nomi sono
noti altri meno conosciuti. Muovendosi lungo un ideale percorso
tra le due sedi, c'è solo l'imbarazzo della scelta per la
varietà di lavori presentati, riuniti ad esempio in Ritratti
(112 artisti per 39 Paesi) o Astrazioni (37 per 21 Paesi). Ampia
la gamma delle opere e dei temi trattati. Bella la sala con i De
Pisis, i suoi nudini, in rapporto con i dipinti di Fratino e
Khakhar, o di Giulia Andreani con la potente infinita carta di
Madge Gill. Ai Giardini c'è la tenda anatolica di Nel Yalter, il
lenzuolo-sindone di Teresa Margolles con l'impronta di un
giovane morto al confine tra Venenzuela e Colombia, il video di
Alessandria Ferrini con l'incontro tra Berlusconi e Gheddafi, i
dipinti e le carte di Aloise; all'Arsenale, le trapunte di
Pacita Abad, Emma Whitehorse, Omar Mismar, Nour Jaouda. Sui nomi
si sceglie ma i temi si rincorrono e sono legati strettamente
alle declinazioni dare dal titolo generale. Ci sono anche
punteggiature riguardanti la cronaca geo-politica. Su un
gigantesco lavoro all'Arsenale compare la scritta "Viva
Palestina" anche se parla di storie messicane; così come su un
video nella sezione speciale dedicata a Disobedience Archive, un
progetto di Marco Scotini, in questo caso centrato sulla
Diaspora e la disobbedienza di genere. Su un logo posto nella
parte inferiore si chiede il boicottaggio del padiglione
d'Israele.
La realtà fa sì che la giornata della pre-vernice, sia stata
aperta dalla notizia che il padiglione resterà chiuso, per
scelta del curatore e degli artisti, fino a quando non saranno
liberati gli ostaggi a Gaza e in patria non ci sarà un
cambiamento o il padiglione russo aperto solo perché ospitante
la Bolivia. Sul piano statistico, la 60. Esposizione
Internazionale d'Arte registra la partecipazione di 87 Paesi,
distribuiti nelle due sedi classiche dei Giardini e Arsenale e
in ogni altra parte della città lagunare, oltre 30 eventi
collaterali. Se il Padiglione Italia, con Massimo Bartolini, a
cura di Luca Cerizza, è all'Arsenale, il Padiglione della Santa
Sede, che torna per questa edizione, e all'interno del casa di
reclusione femminile alla Giudecca. Leoni d'oro alla carriera a
Anna Maria Maiolino e Nel Yalter, mentre gli altri premi saranno
proclamati il 20 aprile nel corso della cerimonia
d'inaugurazione. (ANSA).
La Biennale Arte si svela, si è stranieri ovunque
Buttafuoco, "è bellezza ai margini". Israele chiude per ostaggi