Nella rincorsa elettorale a chi promette di più, David Cameron si gioca il jolly: tasse bloccate per legge - giura - da qui al 2020. A poco più di una settimana dal voto in Gran Bretagna, il premier conservatore prova a strizzare l'occhio al mondo del business e alla classe media, ma anche alla platea dei consumatori in generale, pur di restare al numero 10 di Downing street.
Azzoppato ieri dai dati sulla frenata della crescita del Pil, Cameron può del resto contare, se non altro, sui guai altrui. Visto che il Labour si ritrova adesso alle prese con un duplice intoppo: da un lato lo scandalo che - a dar retta al Times di Rupert Murdoch - rischia di annientare la credibilità di Margaret Hodge, paladina anti-evasione fiscale del partito di Ed Miliband; dall'altro l'avanzata degli indipendentisti scozzesi dell'Snp di Nicola Sturgeon, che in patria potrebbero far piazza pulita di seggi e dividere il voto dell'elettorato di sinistra.
Due punti deboli su cui i conservatori scommettono, incalzando oggi in particolare i loro maggiori rivali sul tema fiscale. Il primo ministro ha così annunciato che, in caso di vittoria alle elezioni del 7 maggio, il suo partito s'impegna ad approvare una legge nei primi 100 giorni di governo che di fatto blocchi gli aumenti di tasse per i successivi cinque anni.
"Perchè posso prendermi questo impegno? Perchè ho visto i conti pubblici e so quello che deve essere fatto senza mettere le mani nelle tasche della gente che lavora duramente", ha ammiccato Cameron durante un ennesimo comizio. In base a questa promessa, non sarebbero toccate l'imposta sul reddito, l'Iva (Vat), né la tassazione della previdenza sociale. Per il leader laburista - che qualche limitato ritocco delle aliquote, almeno fra i più ricchi, ha dovuto pur evocarlo per dare credibilità all'impegno di un abbozzo di rilancio dello stato sociale - rischia di essere un brutto colpo. Tanto più che a peggiorare l'immagine del Labour sul fronte fiscale gli piove fra capo e collo la bufera scatenata dal Times su Margaret Hodge: super esperta laburista in materia, tratteggiata finora come bestia nera degli evasori del Regno.
Il giornale sostiene che la deputata uscente ed ex presidente d'una commissione parlamentare che ha messo sulla graticola le multinazionali per le loro attività nei paradisi della tassazione zero, avrebbe condotto a sua volta lucrose operazioni offshore: incassando per esempio nel 2011 la bella sommetta di 1,5 milioni di sterline in azioni, grazie alla liquidazione di un trust creato da suo padre nel Liechtenstein. E questo senza contare che tre quarti degli asset finanziari della famiglia Hodge sarebbero stati in passato custoditi a Panama, ora bersaglio della 'pasionaria' britannica.
Come se non bastasse i laburisti restano sotto pressione anche per l'ipotesi, sempre più concreta, della necessità di un accordo con i nazionalisti scozzesi: unica forza apparentemente in grado di permettere a Miliband di dar vita a una coalizione numericamente solida alternativa ai Tory a urne chiuse. Un ultimo sondaggio ribadisce che l'Snp potrebbe fare persino cappotto nei 59 collegi della Scozia, e presentarsi poi all'eventuale rendez-vous con il Labour da posizioni di forza.
E se a dare una mano a Ed Miliband arriva l'endorsement del comico dell'anti-politica Russel Brand - passato dopo un faccia a faccia dall'appello al non voto a un elogio del leader laburista - più fredda appare una voce di ben altro spessore nel mondo liberal, quella del Nobel per l'economia americano Paul Krugman: che sul Guardian mette in discussione gli inni alla ripresa britannica e fa la cassandra sulla politica di "forte austerità" di Cameron; ma denuncia pure come il Labour non incarni in realtà una vera alternativa strategica.
Regno Unito: Elezioni 2015, Cameron si gioca il jolly, tasse bloccate fino al 2020
Sfida a Miliband sul fisco mentre pasionaria Labour e' nei guai