Nel destino più immediato di Eva Kaili c'è ancora il carcere. La linea difensiva del tandem legale tutto ellenico dell'ex vicepresidente del Parlamento europeo non ha convinto i giudici della Camera di consiglio del tribunale di Bruxelles, che dopo una prima udienza a porte chiuse alla fine non le hanno concesso i domiciliari in regime di sorveglianza elettronica. Una decisione che la terrà lontana anche per Natale dalla figlia di due anni, 'orfana' anche del padre Francesco Giorgi, anch'egli in detenzione, e che rende fin qui vana la "collaborazione attiva" che la politica greca ha deciso insieme ai suoi avvocati di offrire agli inquirenti. E per la coppia coinvolta nel Qatargate continua a piovere sul bagnato, con il procuratore della Corte Suprema greca che ha ordinato il congelamento di un terreno di loro proprietà sull'isola di Paros.
Erano da poco passate le nove di mattina quando l'eurodeputata greca, 44 anni, spogliata ormai dal 13 dicembre scorso dall'incarico di vicepresidente dell'Eurocamera, è apparsa per la prima volta davanti ai giudici in un tribunale affollato di giornalisti. Un'udienza comunque proibita agli occhi delle telecamere durante la quale il duo di avvocati Mihalis Dimitrakopoulos e André Risopoulos ha portato avanti la propria strategia per provare l'innocenza dell'ex conduttrice tv greca. E la sua "totale estraneità ai fatti". Una linea anticipata dal legale Dimitrakopulos, famoso in patria per difendere i vip ed essere uno dei 'top 5' nel foro di Atene, anche pochi istanti prima di entrare in aula: "Eva Kaili è innocente, non è mai stata corrotta e non sapeva niente", è il mantra ripetuto dal legale.
Per il quale Kaili non ha "mai" saputo niente né delle attività del compagno Francesco Giorgi con il suo 'capo' Antonio Panzeri - l'ex eurodeputato del Pd e poi di Articolo 1 considerato dagli investigatori il deus ex machina dell'organizzazione criminale che prestava il fianco a Qatar e Marocco per influenzare le decisioni politiche Ue in cambio di denaro -; né degli oltre 150mila euro scoperti nella sua casa in rue Wiertz; e nemmeno degli altri 750mila euro in contanti con i quali la polizia belga ha sorpreso il padre pronto a darsi alla fuga nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles. E, per provare la sua innocenza, Kaili, oltre a contestare "ogni accusa di corruzione", ha deciso di collaborare con gli inquirenti. La collaborazione però non è bastata a persuadere i giudici della camera di consiglio a lasciarla libera. Troppo forte la loro convinzione che l'eurodeputata ellenica possa inquinare le prove come avrebbe già cercato di fare ordinando al padre di mettersi in fuga con la valigia piena di banconote. Negli interrogatori offerti nei giorni scorsi - secondo quanto ricostruito dai media - Kaili, pur proclamandosi estranea ai fatti, avrebbe del resto sostenuto di aver contattato i colleghi eurodeputati Marc Tarabella e Maria Arena - in questi giorni citati a più riprese dai media per un loro possibile coinvolgimento -, oltre allo stesso Panzeri, appena saputo dell'arresto del compagno. La politica avrebbe inoltre tirato in ballo gran parte della delegazione del Pd, con tanto di assistenti parlamentari, e rivelato che Giorgi sentiva di avere un "obbligo morale" nei confronti di Panzeri e dell'eurodeputato dem Andrea Cozzolino; lei "non si fidava" delle loro attività ma, avrebbe spiegato rammaricandosi di non aver saputo intervenire come "più anziana" della coppia, "Francesco non sapeva dire di no, era troppo gentile".
Tra tutti i nomi che Kaili avrebbe fatto risulta anche quello del capo delegazione del Pd al Parlamento europeo, Brando Benifei, che tirato più volte in mezzo dalla stampa respinge "con fermezza qualunque accostamento" all'Euroscandalo e si dice "disponibile a collaborare con la magistratura insieme a tutta la delegazione" dem, mentre per il collega Cozzolino è confermata l'autosospensione dalla presidenza della delegazione dell'Eurocamera per i rapporti col Maghreb. In tarda serata uno degli avvocati di Kaili, il greco Mihalis Dimitrakopoulos, ha rotto il silenzio e ha fatto sapere che non ricorrerà in appello contro la decisione dei giudici di Bruxelles.
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