La Russia non rinuncerà alla Crimea e alle altre regioni annesse in Ucraina. A chiarirlo durante un bagno di folla sulla Piazza Rossa è Vladimir Putin, forte del trionfo annunciato al termine dei tre giorni di elezioni presidenziali che gli hanno regalato, secondo i risultati ufficiali, la più grande vittoria per un capo dello Stato nella storia del Paese, con l'87,3% dei voti. Un plebiscito che può servire a Putin sia per continuare il conflitto sia, se l'occasione si presenterà, per avviare negoziati da posizioni di forza. Per rimarcare l'unità del Paese, il capo del Cremlino ha portato con sé sul palco i tre candidati sconfitti con percentuali umilianti, al di sotto del 5% ciascuno. Davanti a decine di migliaia di persone accorse per assistere a un concerto nel decimo anniversario dell'annessione della Crimea, Putin ha affermato che la Russia andrà avanti "con le nuove regioni, mano nella mano". E' vero, ha ammesso, che il viaggio delle genti del Donbass "verso la loro terra natale", cioè la Russia, si è rivelato "più difficile e tragico" di quello della Crimea. "Ma comunque ce l'abbiamo fatta", ha assicurato, prima di intonare con tutta la piazza l'inno nazionale, in un tripudio di bandiere russe. Difficile capire fino in fondo il signficato di queste parole. Se Putin intenda cioè dire che la Russia si potrebbe accontentare dei territori conquistati finora, o voglia allargare il conflitto. Mosca continua ad insistere di essere pronta a negoziati che tengano conto della situazione sul terreno, cioè del controllo russo su parte dell'Ucraina. Lo ha ribadito il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ricevendo l'inviato cinese Li Hui, che nei giorni scorsi ha visitato vari Paesi europei. Il capo della diplomazia russa, ha fatto sapere il ministero degli Esteri, ha "confermato l'apertura della parte russa a una soluzione negoziata". Ma è "inaccettabile" la cosiddetta 'formula Zelensky', che prevede il ritiro completo dei russi dalle regioni occupate durante il conflitto e dalla Crimea. A questo si è aggiunta una dichiarazione al giornale Izvestia del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo il quale la Russia è "pronta a negoziati su tutte le questioni della sicurezza, compreso il disarmo nucleare e la non proliferazione". Queste dichiarazioni fanno seguito a quelle dello stesso Putin che la scorsa notte aveva indicato la Francia come un Paese che "può ancora svolgere un ruolo" nella ricerca di una soluzione negoziata, perché "non tutto è ancora perduto". Una sorpresa dopo le parole del presidente Emmanuel Macron su possibili "operazioni sul terreno" di Paesi Nato in Ucraina "per far fronte alle forze russe". Il leader russo si era anche detto pronto a prendere in considerazione l'ipotesi di una tregua per le Olimpiadi, a patto che non si tratti solo di una pausa per dar modo a Kiev di "riarmarsi". Il portavoce Peskov ha intanto respinto come "assurde" le affermazioni occidentali relative alla "illegittimità" delle elezioni. Accuse rilanciate dal gruppo indipendente russo di monitoraggio Golos, secondo il quale queste sono state le consultazioni "più fraudolente e corrotte" della storia del Paese, perché "la campagna si è svolta in una situazione in cui gli articoli fondamentali della Costituzione russa, che garantiscono i diritti e le libertà politiche, essenzialmente non erano in vigore". In un messaggio dal carcere, l'oppositore Ilya Yashin ha scritto che Putin ha voluto una vittoria trionfale perché non può liberarsi dai "suoi complessi freudiani". Il vero obiettivo dell'operazione, ha aggiunto Yashin, è "far sprofondare nell'apatia quella parte della società che è contro la guerra". A Mosca circolano intanto voci su possibili rimpasti nel governo per portare alla ribalta forze giovani. L'agenzia Reuters, citando quattro fonti vicine agli ambienti del potere, ha scritto che tra coloro che potrebbero avanzare di grado vi è il ministro dell'Agricoltura Dmitry Patrushev, 46 anni, figlio di Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale. Ma due delle fonti si dichiarano convinte che, almeno fino a quando durerà il conflitto in Ucraina, non saranno sostituiti né Lavrov, né il ministro della Difesa Serghei Shoigu, né il primo ministro Mikhail Mishustin.
"Elezioni farsa", "incredibilmente anti democratiche", "né libere né giuste": è il coro unanime degli Usa, dei loro alleati del G7 e dell'Europa dopo la scontato plebiscito che ha riconfermato Vladimir Putin. Con Berlino e Londra primi ad annunciare che non riconosceranno il voto in Russia - delegittimando lo zar come possibile interlocutore di ogni futuro negoziato o trattato - né tantomeno quello tenuto in certe parti dell'Ucraina, della Georgia e della Moldavia in violazione del diritto internazionale. Anche l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha esortato all'unanimità la comunità internazionale a non riconoscere più la legittimità di Putin come presidente e invitato tutti i Paesi a cessare ogni contatto con lui, tranne che per perseguire la pace e per scopi umanitari, ad esempio per organizzare scambi di prigionieri o per riportare a casa i bambini dell'Ucraina. Una linea all'esame del G7 sotto la presidenza italiana, dove è in gioco la capacità di interloquire in futuro con Putin (a partire dal conflitto in Ucraina), mentre una fetta consistente del mondo si felicita con lo zar, compresi Paesi vicini a Usa ed Europa come India e Turchia. Il 'la' alla bocciatura del voto russo era stato dato domenica dal portavoce del consiglio per la Sicurezza nazionale Usa John Kirby con una laconica dichiarazione alla Reuters: "Queste elezioni non sono state chiaramente né libere né giuste dato che Putin ha imprigionato gli oppositori politici prevenendo così che corressero contro di lui". "E' stato un processo incredibilmente anti democratico", ha rilanciato il giorno successivo un portavoce del Dipartimento di Stato nel briefing quotidiano, avvisando che "non ci sarà sicuramente alcuna telefonata di congratulazioni dagli Stati Uniti". Silenzio finora da parte Joe Biden (ma anche del suo rivale Donald Trump), occupato in mattinata in una lunga telefonata con il premier israeliano Benyamin Netanyahu e in un ricevimento nella residenza presidenziale per il mese della storia della donne. A parlare per lui è stato il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan nel consueto briefing della Casa Bianca: "Non c'è stato nulla di libero o giusto in queste elezioni e il risultato era scontato. La realtà è che Putin è il presidente della Russia. Abbiamo dovuto affrontare questa realtà durante tutta la guerra in Ucraina e continueremo ad affrontare questa realtà, ma tale realtà non nega il fatto che queste elezioni non abbiano soddisfatto nessun parametro di libertà o equità", ha detto. Nel frattempo si erano già espresse tutte le principali cancellerie occidentali, con sfumature diverse ma unanimi sul voto non libero. Berlino ha sparato la prima bordata annunciando che non riconoscerà l'esito di elezioni "non democratiche" e che continuerà a riferirsi al capo di Stato russo semplicemente come "Putin" senza alcuna qualifica, come del resto già fatto "negli ultimi tempi". "La Russia è ora una dittatura ed è governata da Vladimir Putin in modo autoritario, come ha già detto il cancelliere federale", ha precisato il portavoce del governo. Sulla stessa lunghezza d'onda Londra, secondo cui queste elezioni "mostrano l'ampiezza della repressione". "Putin rimuove i suoi avversari politici, controlla i media e poi si incorona vincitore. Questa non è democrazia", ha attaccato il capo della diplomazia britannica David Cameron, mentre il ministro della Difesa Grant Shapps definiva il leader del Cremlino uno "Stalin dei giorni nostri". Anche l'alto rappresentante per la politica estera della Ue Joseph Borrell ha denunciato elezioni "nè libere nè giuste", basate sulla "repressione e l'intimidazione". Concetti ribaditi dal ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e dal suo collega francese, il quale ha lodato inoltre il coraggio dei cittadini russi "che hanno manifestato pacificamente la loro opposizione a questo attentato ai loro diritti politici fondamentali". "Una farsa, una parodia", ha rincarato il capo della diplomazia ceca Jan Lipavsky. Sull'altra sponda dell'Atlantico anche il Canada ha messo sotto accusa un processo elettorale irregolare. Silenzio invece da Trump, il cui flirt con lo zar preoccupa l'intelligence in caso di una sua vittoria: non incoraggia né la sua intenzione di ingaggiare come consigliere il suo ex campaign manager Paul Manafort, da lui graziato dopo la condanna nel Russiagate, nè il suo auspicio di non dover scegliere tra Putin che "ingoia" l'Ucraina o l'invio di armi a Kiev.
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