18 LUGLIO - Tank varcano confine,a Gaza una notte da incubo - Decine di migliaia di persone hanno trascorso una notte apocalittica quando le loro abitazioni nei rioni ad est di Gaza, Sajaya e Zaitun, hanno preso a tremare per i colpi dell'artiglieria di Israele. Ieri ancora avevano sperato di poter resistere nella case. Ma nella notte hanno compreso all'improvviso che probabilmente sarebbero morti tra le macerie. E in quel momento decine di migliaia di persone si sono date alla fuga verso Gaza City. Nel frattempo i primi tank di Israele sono entrati nel Nord e nel Sud della Striscia. Alle prime luci del giorno la situazione appariva disastrosa. In una scuola dell'Unrwa (l'ente dell'Onu per la protezione dei profughi) si sono svegliati 3.500 sfollati, originari del nord della Striscia. In ogni classe c'erano un centinaio di anime sofferenti. Impossibile per loro lavarsi, o anche semplicemente cambiarsi d'abito. Poi con l'evacuazione di Sajaya e Zaitun, la situazione - se possibile - è andata aggravandosi ancora. Nel pomeriggio l'Unrwa calcolava di aver dato un riparo provvisorio a 35-40 mila persone. Garantisce loro un pavimento, acqua, cibo in scatola, qualche coperta. E una tenue speranza di riuscire a superare indenni anche questa guerra. Ma il cuore degli sfollati palpita per le case, che si trovano ormai in zone di aperto combattimento, e per quanti malgrado tutto sono rimasti indietro. Uno dei simboli di questa tenacia è l'ospedale di riabilitazione al-Wafa di Sajaya. Fino a giorni fa aveva una settantina di degenti. Ma per sua sfortuna si trova in una posizione elevata, a 700 metri da una postazione dell'esercito israeliano. Le sparatorie in quest'area non sono rare. Il direttore ha cercato fino ieri di proteggere gli ultimi 30 ricoverati. Poi si è arreso anche lui agli eventi. Più a nord, a Beit Hannun, si è combattuto nei pressi delle Torri al-Nada, alti edifici da cui era possibile seguire il movimento dei blindati israeliani entrati a Gaza. I tank procedevano metro dopo metro, con grande cautela, sparando a ripetizione. Un appartamento di questi edifici è stato centrato da un razzo, e tre adolescenti (di età compresa fra 12 e 16 anni) sono rimasti uccisi. Perentori volantini dell'esercito avevano intimato nei giorni scorsi l'evacuazione totale dell'area. Ma evidentemente le famiglie non avevano potuto trovare un altro riparo. Mentre il bilancio delle vittime continuava a crescere di ora in ora (in serata si era giunti a 274 morti e 2050 feriti) i minareti di Gaza esortavano la popolazione a non perdersi d'animo. "Dobbiamo essere forti", dicevano. "Ne va della nostra dignità. Vogliamo l'indipendenza. Vogliamo uno Stato". Sulla stessa lunghezza d'onda i mezzi di comunicazione di Hamas accusavano Benyamin Netanyahu di essere in definitiva un codardo, e assicuravano che "pagherà il prezzo dei suoi crimini". Ma lasciavano spazio anche ad ascoltatori che, a titolo personale, coprivano di insulti il mondo arabo per non aver ancora espresso un appoggio forte al popolo di Gaza, e anche il presidente dell'Anp Abu Mazen, per aver accolto un'iniziativa diplomatica egiziana che invece la leadership di Hamas ha respinto. In un fotomontaggio Abu Mazen è mostrato al fianco di Netanyahu e del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi: i tre indossano lo stesso elmetto, ed appaiono schierati con la medesima determinazione contro Hamas. Nel pomeriggio gli abitanti di Gaza si sono intanto resi conto che per il momento i tank di Israele si erano arrestati ad un chilometro e mezzo di profondità a nord, a sud e nel centro della Striscia. Nei rioni popolosi non si erano per il momento avventurati. Allora a Jabalya, con un passaparola, la gente è scesa in strada per imporre con la propria stessa presenza una 'tregua umanitaria' che nessuno peraltro aveva proclamato. Con un coraggio di cui forse non si sapevano capaci, in quelle strade, in una giornata che pure ha registrato una trentina di morti, gli abitanti hanno invaso le strade, i mercati, i negozi. E avevano sul volto un mezzo sorriso di compiacimento: per un'ora erano riusciti a vincere la frustrazione abissale che da dieci giorni li attanaglia.
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