Nella travagliata economia di Gaza, un sarto del misero campo profughi Shati è riuscito ad individuare un nuovo filone di export e adesso è in grado di offrire lavoro alla sua gente. L'uomo, riferisce il sito 'Gazapost', si chiama Muhammad Abu Shanab - 61 anni - e di recente si è specializzato nella produzione di 'kippah', il copricapo degli ebrei religiosi.
In passato l'industria locale di sartoria ha conosciuto periodi di prosperità durante i quali era in grado di sopperire alle necessità di Gaza e di esportare in Paesi arabi ricchi di risorse, fra cui quelli del Golfo. Poi il blocco della Striscia e anche la concorrenza di prodotti tessili provenienti dall'Estremo Oriente e dalla Turchia hanno messo in ginocchio il settore. Trovatosi a corto di idee - ha spiegato Abu Shanab a 'Gazapost' - ha telefonato ad un suo vecchio conoscente in Israele, di nome Avi. Così è nata l'idea di produrre a Gaza i copricapo per gli ebrei religiosi in Israele e negli Stati Uniti. "Avi mi ha spiegato - ha detto Abu Shanab - che per produrre le kippah non è necessario essere ebrei. Bisogna però essere persone di fede, e pure di animo".
"Queste richieste - ha aggiunto Avi - escludono a priori la produzione cinese", nella convinzione che la popolazione di quel Paese sia generalmente atea. Abu Shanab ha replicato che l'Islam rispetta invece tutte le fedi, inclusa appunto quella mosaica. Tanto è bastato per mettere in moto le macchine e adesso nel campo profughi di Shati - lo stesso dove abita Ismail Haniyeh, il numero due di Hamas - si producono 200 kippah al giorno. Per il mercato Usa vengono realizzati modelli particolari, chiamati 'Milmush'. Il prezzo è economico: otto dollari al pezzo.
Non tutti, nel suo rione, hanno apprezzato l'iniziativa. A breve distanza dalla sua sartoria ci sono infatti i resti di una moschea abbattuta nel 2014 dal fuoco israeliano e qualcuno trova inopportuno "lavorare per gli israeliani". Ma Hamas non ha avuto niente da obiettare ed Abu Shanab ha aggiunto di non essere interessato ad addentrarsi in questioni politiche: la sua prima preoccupazione, ha spiegato, è di dare lavoro ai disoccupati.
La notizia che kippah smerciate in Israele possano essere 'Made in Gaza' - riporta il sito ebraico Kikar ha-Shabbat - ha destato sorpresa fra gli ortodossi israeliani, ma finora nessuna obiezione. Al contrario. Fiutando le potenzialità economiche del ricorso ad una manodopera di poche esigenze, uomini d'affari israeliani stanno adesso verificando con Abu Shanab se sia in grado di produrre a prezzi ragionevoli anche le nere palandrane tipiche degli ebrei ultraortodossi: potenzialmente un mercato di centinaia di migliaia di persone. L'inaspettata sintonia fra persone di fede dalle due parti della barricata viene adesso vista come un messaggio di speranza: modesto, ma forse anche promettente.