Ad appena tre ore di volo dall'Italia c'è una guerra, quella in Siria, che dura da dieci anni, ha ucciso circa mezzo milione di persone e ha devastato città e campagne di un Paese mediterraneo che impiegherà decenni per rialzarsi e che continuerà a essere un incubatore di radicalismi di ogni colore. La Siria è un Paese fisicamente lacerato al suo interno, diviso in zone di influenza da attori stranieri che da anni si dividono le spoglie energetiche e territoriali di una terra millenaria, culla delle civiltà e crocevia tra Asia, Africa ed Europa, oggi inserita in un Medio Oriente tormentato dalla peggiore crisi economica e finanziaria dall'inizio del secolo, aggravata dalle ripercussioni della pandemia. La ricostruzione delle infrastrutture è lontana anche perché non ci sono investitori locali e stranieri. La ricomposizione del tessuto comunitario è ancor più un miraggio: dieci milioni di siriani su venti hanno dovuto abbandonare le loro case, fuggendo all'estero o rimanendo sfollati tra le macerie, esposti a bombardamenti e violenze, da dieci inverni nudi di fronte ai gelidi inverni mediorientali. Chi è scappato difficilmente tornerà senza prospettive di avere una casa, un lavoro, un futuro per i propri figli. Chi non è riuscito a scappare, fatica a trovare risorse per andare avanti. A causa della crisi valutaria senza precedenti nel vicino Libano, delle sanzioni economiche statunitensi e del prolungato conflitto armato, la lira siriana è oggi carta straccia. In questa desolazione i bambini sono le vittime eccellenti, quelli che da 10 anni crescono all'ombra delle violenze armate e che tra 10 anni saranno i nuovi adulti in cerca di prospettive socio-economiche e diritti politici. Milioni di bambini siriani non hanno conosciuto un percorso scolastico degno di questo nome. Secondo l'Unicef, il 90% dei minori siriani ha bisogno di assistenza umanitaria. Dal 2011 al 2020 più di 12mila minori sono stati uccisi o feriti; più di 5.700 bambini, alcuni anche di 7 anni, sono stati reclutati nei combattimenti; più di 1.300 strutture sanitarie e scolastiche, con il relativo personale, sono state attaccate dalle parti in conflitto.
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