Per Hezbollah, l'accordo con Israele costituisce a un compromesso strategico che mantiene i fondamenti della sua "missione di resistenza" senza sacrificare la capacità di operare come attore politico-militare in Libano.
La vulgata interna al partito descrive l'accordo come "una pausa tattica", necessaria per riorganizzare le forze e affrontare le prossime sfide, senza mai abbandonare la lotta contro quello che considera "il nemico sionista".
Fonti vicine al partito armato libanese a Beirut affermano che, sebbene il ritiro dei combattenti a nord del fiume Litani possa essere interpretato come una concessione tattica, questo è in realtà un "adattamento temporaneo" al contesto attuale, "necessario per proteggere i civili" e preservare l'integrità del suo arsenale. La bozza di accordo con Israele non include infatti il disarmo di Hezbollah, come era invece previsto dalla risoluzione 1701 del 2006, basata, in parte, sulla risoluzione 1559 del 2004. Le fonti ammettono che il partito abbia dovuto cedere su un pilastro della sua strategia, valida almeno fino all'uccisione da parte di Israele del suo leader Hassan Nasrallah lo scorso settembre: ovvero la firma di un'intesa bilaterale con Israele, rompendo la narrativa del "fronte comune" con Hamas.
Questo passo, secondo le fonti, "è stato necessario per evitare che il conflitto si trasformasse in una guerra ancor più devastante" per il Libano, travolto dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia e al collasso per un conflitto in corso da più di un anno. L'assenza di strumenti coercitivi nell'accordo per fermare le incursioni israeliane è un punto centrale per il Partito di Dio. Hezbollah denuncia che Israele, con il sostegno americano, continuerà a sfruttare le ambiguità del testo per giustificare azioni militari future. Nonostante ciò, le fonti interne al partito insistono nel dire che la presenza di missili a media e lunga gittata nel proprio arsenale rimane una garanzia contro qualsiasi offensiva su larga scala.
A tal proposito, Hezbollah vede nel dispiegamento dell'esercito libanese e nel mantenimento della presenza dei militari della missione Onu (Unifil), tra cui un migliaio di italiani, "una soluzione temporanea, non risolutrice".
Le fonti sottolineano inoltre quello che da più parti viene evidenziato: la mancanza di un reale supporto logistico e politico per le forze armate libanesi farà sì che il controllo effettivo della regione resterà nelle mani delle comunità locali, dove Hezbollah assicura di avere ancora profonde radici sociali e politiche, nonostante la politica della "terra bruciata" dell'esercito israeliano. Ecco perché, per Hezbollah, l'accordo con Israele non è una resa, ma un momento di consolidamento strategico. Il Partito di Dio si prepara a sfruttare le ambiguità dell'intesa per mantenere la propria influenza nel sud del Libano e preservare, almeno in parte, il suo ruolo come principale forza araba di resistenza nella regione.
Hezbollah, 'non è una resa, dobbiamo rifiatare'
Fonti del partito descrivono l'accordo come 'una pausa tattica'