"Conservatorismi, corporativismi e ingiustizie" frenano l'Italia: è arrivato il momento di vincere resistenze antiche, di passare dalle parole ai fatti e "rinnovare l'Italia". Puntuale come sempre negli ultimi mesi è arrivato l'endorsement del Colle ai programmi di palazzo Chigi in queste ore sotto il fuoco amico della Cgil e della minoranza Pd sul Jobs Act.
Parole chiare dal presidente della Repubblica che non rappresentano una novità rispetto alla linea fortemente riformatrice del Quirinale ma che in queste ore è lecito leggere come un messaggio "a sinistra", volto a puntellare gli sforzi dell'esecutivo dalle riforme costituzionali a quella del Lavoro.
"In Italia serve una rivoluzione sistematica": "sono consapevole che alcune cose vanno cambiate in modo violento", gli fa infatti da controcanto Matteo Renzi dalla Silicon valley.
Riforme a tutto gas quindi. Anche a costo di far "arrabbiare" qualcuno - anche dentro casa Pd - "per far contenti tutti", aggiunge il premier che invita gli italiani a rimboccarsi le maniche e a "smetterla di piangersi addosso".
Ma l'accelerazione riformatrice del governo si fonda su basi serie come dimostrano ancora una volta le parole di Mario Draghi: "La crisi finirà solo quando tornerà una piena fiducia nell'economia, quando le imprese torneranno ad assumere rischi, investire, creare lavoro. Questo dipende da molti fattori, inclusa la politica monetaria ma soprattutto dall'attuazione delle riforme che sosterrà la credibilità". Il Governatore della Bce sembra stigmatizzare il passo da lumaca dell'Italia nel rendere operativi i provvedimenti da tempo annunciati ma di fatto, ben disegnando il senso dell'urgenza, sembra sostenere le ragioni della determinazione di Renzi. In questo quadro lascia perplessi tutti - anche il Quirinale - lo stallo del Parlamento sulla nomina dei due giudici della Consulta e dei due membri laici del Csm, così come la furiosa battaglia in corso sul Jobs act. Prova delle tensioni generalizzate è anche lo scontro apertosi oggi sull'articolo 18 tra il presidente di Confindustria e il segretario della Cgil Camusso.
"L'abolizione dell'art. 18 sarebbe un segnale forte" per l'Europa e i mercati, sottoscrive Squinzi. Gelida la replica del leader della Cgil: "vedo dei repentini mutamenti di opinione perchè ricordo molte dichiarazioni del presidente di Confindustria che dicevano esattamente l'opposto", ha replicato spiegando che "il governo non sa come superare la precarietà" e per questo alimenta le tensioni quotidiane e confermando le mobilitazioni che probabilmente non saranno unitarie. Forse anche per questa ragione il capo dello Stato ne ha avute anche per il Governo richiamandolo ad una maggiore concretezza: "confidiamo nella chiarificazione e concretizzazione degli impegni annunciati del governo per il superamento di situazioni ormai insostenibili, che le politiche del passato non hanno mai risolto".