La Lega incrocia le dita, il Pd si divide, la sinistra attacca, il M5s traina il sì all'autonomia, e il Paese fa spallucce. Scatta l'ora X per i referendum autonomisti targati Lega giunti alla prova delle urne venete e lombarde. Un appuntamento sottotono. L'evento non ha infiammato gli animi e la politica, e solo in corner ha fatto registrare una litigata tra la Lega e il Pd per la sortita di Maurizio Martina che ha evocato la secessione e la "deriva catalana". Silente invece Matteo Renzi, che tempo fa aveva definito il referendum "inutile" lasciando libertà di voto ai suoi.
Quello che la Lega ha voluto esorcizzare è lo spauracchio "indipendentista", o simil-catalano, anche per non rievocare le proprie origini, quelle della contrapposizione tra Nord e Sud e degli slogan contro i "terroni". La scommessa della Lega di oggi è quella dell'autonomia, di uno sganciamento progressivo dallo Stato-zavorra cui - sottolineano nel Carroccio - tutte le regioni possono e devono puntare su una autogestione anche finanziaria.
La segreta speranza dei due protagonisti referendari Roberto Maroni e Luca Zaia è comunque quella di utilizzare questo appuntamento elettorale come apripista e insieme come riscatto del Nord che si smarchi progressivamente dallo stato centralista.
Nell'attesa del verdetto delle urne la Lega ostenta grande cautela. Per Matteo Salvini (che ha parlato di "opportunità trasversale") "sarà l'occasione per milioni di cittadini lombardi e veneti per avere più competenze, più risorse", ma "se la gente non andrà a votare significa che non desidera più autonomia e noi continueremo a governare bene le Regioni come abbiamo fatto in questi anni". E anche Zaia ha voluto sgombrare il campo dal rischio-flop: se non si raggiunge il quorum e il referendum fallisce di certo - ha chiarito il governatore veneto - non mi dimetto, "la mia carica non è in discussione" perché, "non è che se passa hanno vinto i veneti e se non passa perdo solo io...".
Però immaginando il successo elettorale (e politico) Zaia si è lasciato trascinare dall'entusiasmo: "Ricordiamoci di quei ragazzi che fecero cadere il Muro di Berlino. Sembrava impossibile". E lo stesso Maroni che per un eccesso di cautela nei giorni scorsi aveva abbassato l'asticella referendaria ad un modesto 34%, oggi, galvanizzato dalla vigilia, ha fatto sapere che andrà a trattare con Roma su tutte le materie previste dalla costituzione. A trainare il sì leghista all'autonomia in Lombardia e Veneto c'è anche Silvio Berlusconi che auspica un effetto domino su tutte le regioni italiane. Il Cavaliere nei giorni scorsi ha affiancato Roberto Maroni nella campagna pro-referendum disinnescando, almeno in parte, la bomba scoppiata nella coalizione dopo il siluramento del referendum da parte dell'alleata Fdi Giorgia Meloni.
Anche il M5s si è schierato, seppur senza squilli di tromba, a favore del sì, ma in "autonomia", non volendosi contaminare con il Carroccio. Schierata decisamente contro il referendum tutta la sinistra. Per il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, "è una presa in giro, una vera truffa per i cittadini di quelle regioni".