La sentenza che domani metterà un primo punto alla vicenda giudiziaria di Virginia Raggi coincide quasi con il midterm della consiliatura. Due anni e 5 mesi a Palazzo Senatorio costellati tanto dai valzer nelle nomine e dai cambi in giunta, quanto dalle grandi sfide portate avanti nei settori strategici della città, dai trasporti ai rifiuti. Un rinnovamento che la sindaca ha voluto innescare nel profondo ("e non - come spesso rivendica - con una mano di bianco") e che attende ora di dare i suoi frutti. Ma su cui, ancora per qualche ora, pende la spada di Damocle di una possibile condanna che costringerebbe la sindaca a lasciare, al netto di 'exit strategy'. A giugno 2016, l'elezione del primo sindaco donna della Capitale (con una percentuale di favori che sfiorava il 70%) è coincisa con la prima vera esperienza di governo dei pentastellati. Forse in assoluto la più complicata, indubbiamente partita in salita. Il primo anno di Virginia Raggi, infatti, è stato costellato da grandi difficoltà: in primis con le nomine e con la costruzione ex novo di una classe dirigente di fatto azzoppata dall'inchiesta sulle nomine con l'arresto di Raffaele Marra, ex capo del personale poi arrestato con l'accusa di corruzione. Diversi i manager che si sono avvicendati nelle aziende capitoline, ma ad attirare maggiormente l'attenzione sono state le porte girevoli in giunta. Fino ad oggi gli assessori che - tra vicende giudiziarie, divergenze politiche, e cordiali commiati - hanno lasciato l'esecutivo sono otto: Marcello Minenna (andato via insieme all'ex capo di gabinetto Carla Romana Raineri), Paola Muraro, Paolo Berdini, Massimo Colomban, Adriano Meloni, Andrea Mazzillo, Alessandro Gennaro, e, solo nominalmente, Raffaele De Dominicis. La prima cittadina, secondo cui prima viene il programma elettorale e solo dopo le persone, di volta in volta si è rimboccata le maniche e ha inaugurato nuovi ingressi: dall'assessore all'Ambiente Pinuccia Montanari al titolare di Bilancio e Partecipate Gianni Lemmetti. Nella gestione della città, il M5S ha ingaggiato sfide complesse e a lungo termine. Si va dall'approvazione dei bilanci nei tempi stabiliti, al concordato preventivo per rimettere in piedi l'Atac (la municipalizzata dei trasporti con 1,4 miliardi di debiti), fino ad un piano di raccolta differenziata tecnologica da esportare in tutta la città. Un cambiamento che in alcuni casi è stato già messo sui binari, ma che quotidianamente si scontra con servizi ancora inefficienti: i sacchetti di immondizia che ciclicamente invadono le vie della città, strade groviera e bus lumaca o, peggio, che prendono fuoco. Per mettersi completamente alle spalle l'era di Mafia Capitale nel verde, la giunta ha messo in campo due importanti gare europee che a breve - assicurano dal Campidoglio - daranno i loro frutti. Come pure sarebbe imminente una corposa iniezione di nuovi autobus. Dopo il primo, pesante no alle Olimpiadi, il Comune ha puntato su 'grandi eventi' alternativi, tra cui la prima Formula E, la gara di bolidi elettrici all'Eur. Mentre la scommessa sul nuovo Stadio della Roma - "un impianto fatto bene" nelle intenzioni del M5S- al momento è in stand by per grane giudiziarie. Se l'annunciata razionalizzazione delle aziende capitoline per ora è solo sulla carta (con l'incertezza che regna in alcune realtà), sono più evidenti i risultati raggiunti per i dipendenti comunali: la soluzione dell'annosa vertenza del salario accessorio e le numerose assunzioni, attese da tempo, che con Raggi sono andate in porto. Forte anche il messaggio di legalità da sempre veicolato dalla sindaca, che si è concretizzato, ad esempio, con i recenti sgomberi di diversi esponenti del clan Spada dalle case popolari di Ostia. La spinta decisiva per chiudere in bellezza il mandato - qualora proseguirà - potrebbe essere l'arrivo di quei tanto agognati poteri e fondi speciali per la Capitale. La promessa, in linea di principio, sta nero su bianco nel programma di governo.
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