"La Consulta è una delle ultime sacche di resistenza del vecchio sistema e dice che di legge elettorale, di Parlamento e di Governo possono occuparsi solo i partiti, non gli italiani. È una scelta contro la democrazia. Poi si andrà a votare perché questi litigano ogni giorno. La decisione della Consulta ha allontanato la democrazia non il voto". Così Matteo Salvini a Catanzaro torna sulla bocciaura da parte della Corte Costituzionale del referendum sulla legge elettorale sostenuto dalla Lega per abrogare le norme sulla distribuzione proporzionale dei seggi e trasformare il sistema in un maggioritario puro.
"Secondo me è un peccato - ha detto ancora - perché la sovranità appartiene al popolo. Comunque andiamo avanti. Saremo in tutte le piazze e i Comuni per raccogliere le firme per un proposta di legge di iniziativa popolare per chiedere l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, come accade in tanti altri Paesi evoluti al mondo, perché l'Italia ha bisogno di certezze". "Che l'attuale Governo, che litiga ogni giorno su tutto quanto, sia un governo stabile con idee chiare, mi pare evidente che non sia così" ha aggiunto Salvini, in diretta su Telelombardia.
La Corte costituzionale lo ha dichiarato inammissibile perché "eccessivamente manipolativo" nella parte che riguarda la delega al governo, che secondo i promotori del referendum avrebbe consentito "l'autoapplicatività della 'normativa di risulta'", come spiega il comunicato della Corte.
La Consulta ha sempre ritenuto inammissibile il referendum sulle leggi elettorali, quando si determina un vuoto tale da richiedere una nuova normativa. E lo ha fatto in nome del principio che occorre garantire la costante operatività del Parlamento. In questo caso sarebbe stato necessario ridisegnare i collegi elettorali uninominali. I promotori del referendum ritenevano che si potesse utilizzare l'articolo 3 della legge elettorale vigente che attribuisce al governo una delega per la ridefinizione dei collegi, nel caso in cui - come effettivamente avvenuto - si riduca il numero dei parlamentari. Una strada che invece la Corte ha ritenuto impercorribile.
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