Dal Conte Bis al governo Draghi, il numero di donne non aumenta, mentre quello delle rappresentanti Dem passa da una a zero. E nel Pd esplode un caso di genere, con accuse tutt'altro che velate al segretario Nicola Zingaretti. La gestione della crisi da parte dei Dem è stata "machista", è convinta Marianna Madia, che sette anni fa di questi tempi giurava nel governo Renzi, l'unico per metà a tinte rosa. La percentuale di donne nei governi Letta, Gentiloni e nelle due esperienze di Conte, oscillava fra il 27% e il 32%, identica a quella della squadra di Mario Draghi, dove ci sono 8 ministre su 23, 3 con portafoglio. Questa volta, però, quando la musica si è fermata, nessuna Dem si è ritrovata in poltrona. "È una ferita - constata in una nota proveniente dal Nazareno Cecilia D'Elia, portavoce della conferenza delle donne democratiche, che dovrebbe riunirsi a inizio settimana -. Una novità per il partito: al restringersi delle postazioni, le donne sono venute meno".
Secondo Laura Boldrini, "le correnti schiacciano il protagonismo femminile". "Qualcosa non torna. Bisognerà pensarci bene. Non tanto e non solo tra le donne del Pd. Ma nei suoi organismi decisionali", il commento di Titti Di Salvo. "Ma non ci sono più scuse nemmeno per le dem" nota Debora Serracchiani, parlando di una "dura lezione: nessuno spazio ci sarà dato per gentile concessione. Quando si tratta di ruoli di potere vero, non funzionano le quote di genere come riserva indiana o gli articoli dello statuto come specchietto per la democraticità interna. Il Pd è un partito per donne? Per me, dovrà esserlo". Appena varato il governo, Zingaretti ha promesso di "fare di tutto" per riequilibrare il rapporto di genere nella fase di identificazione di sottosegretari e viceministri.
E dal canto suo il segretario rivendica di aver sollevato il tema della parità nelle consultazioni con Draghi e poi nella Direzione nazionale del partito. È stato Draghi del resto, fanno notare in ambienti Dem, a scegliere i ministri, e la Direzione del partito ha votato all'unanimità l'ordine del giorno che dava "fiducia" al governo da lui presieduto. Fonti parlamentari dell'area vicina al segretario, riconoscendo che lo stesso Zingaretti ha ammesso il problema, osservano che in queste ore c'è chi sembra utilizzare in modo strumentale la polemica per aprire un fronte interno e rompere l'unità, puntando nei prossimi mesi alla sfida congressuale. Fra chi usa toni critici ci sono Matteo Orfini e ancor più Antonio Decaro. "Un grande rammarico: nemmeno una donna tra i ministri indicati dal mio partito. Forse le donne del Pd dovranno organizzarsi in una corrente se vorranno contare qualcosa nel partito", dice il sindaco di Bari, da tempo fra i più attivi nel chiedere un congresso. Una questione che tornerà a galla nelle prossime settimane.