La Russia si sente "minacciata ai propri confini", e per far capire all'Occidente quanto sia alta la posta in gioco ha evocato il momento in cui il mondo si trovò si trovò davvero sull'orlo della terza guerra mondiale: la crisi dei missili a Cuba tra Stati Uniti e Urss, nel 1962. L'avvertimento del ministro degli Esteri Serghiei Lavrov è stato lanciato proprio all'indomani del nuovo attacco ucraino sulla Crimea, a cui Mosca ha reagito sospendendo l'intesa sul grano. Uno strappo che ha subito bloccato le navi cariche di cereali, e che ha spinto Turchia e Onu a tentare una nuova mediazione. La cosiddetta operazione militare speciale in Ucraina non sta andando come previsto, ed anzi a Mosca cresce l'allarme per l'efficacia della resistenza di Kiev, che si è spinta più volte fino alla Crimea e persino oltre, come dimostrano gli attacchi a Belgorod.
Il ministro Lavrov, in un'intervista, ha evocato una "situazione simile al periodo della crisi missilistica cubana", affermando che "oggi come nel 1962 stiamo parlando di minacce dirette alla sicurezza della Russia proprio ai nostri confini". In particolare, a causa di una "campagna per spingere l'Ucraina con ogni tipo di armi", è l'accusa rivolta agli alleati americani ed europei di Kiev. Che tra l'altro starebbero "giocando in maniera irresponsabile" sul tema delle armi nucleari, con la Polonia "candidata" ad ospitare ordigni atomici Usa. I droni lanciati su Sebastopoli, che avrebbero colpito almeno tre navi della flotta russa, secondo Mosca costituiscono un'ulteriore prova delle minacce ai propri confini.
Il ministero della Difesa ha fatto sapere di aver recuperato frammenti dei droni subacquei che sarebbero stati utilizzati dagli ucraini nel Mar Nero: armi "dotate di moduli di navigazione prodotti in Canada, lanciate dalla costa vicino a Odessa", probabilmente da una "nave cargo", sfruttando i "corridoi per il trasporto dei cereali". Oltre ai consueti strali contro la Nato, la Russia ha comunque continuato a tenere la mano tesa per un negoziato. Secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, i colloqui tra Vladimir Putin e Joe Biden potrebbero avere luogo se gli Stati Uniti fossero disposti ad "ascoltare le preoccupazioni russe e a tornare a discutere di garanzie di sicurezza". E lo stesso Lavrov ha assicurato la disponibilità a sedersi al tavolo in caso di "proposte realistiche". A Kiev, tuttavia, nessuno ci crede. Per il portavoce del ministero degli Esteri Oleg Nikolenko si tratta solo di "un'altra cortina fumogena per guadagnare tempo sullo sfondo delle sconfitte dell'esercito russo". Spiragli di dialogo, per il momento, si intravedono solo sul dossier grano.
Oggi nessuna nave è partita dal Mar Nero, dopo la decisione della Russia di sospendere l'intesa sottoscritta a luglio, ma i mediatori turchi e dell'Onu si sono subito messi in moto. Ankara ha spiegato di essere in trattativa con Mosca e Kiev, e nel frattempo ha comunicato che le ispezioni delle navi cargo a Istanbul andranno avanti. Il viceministro degli Esteri russo Andrey Rudenko ha fatto sapere che ci saranno "contatti con Nazioni Unite e Turchia nel prossimo futuro". Nel frattempo Ue e Stati Uniti hanno lanciato un appello a Mosca perché faccia marcia indietro. Ma neanche in questo caso Kiev si fida. Secondo il ministro Dmytro Kuleba questo strappo era stato "pianificato con largo anticipo", per tornare a ricattare il mondo con il grano. Con il risultato che "due milioni di tonnellate di grano su 176 navi già in mare, sufficienti per sfamare oltre 7 milioni di persone", non arriveranno a destinazione.
Leggi l'articolo completo su ANSA.it