La Repubblica italiana è "fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista". Un'affermazione che riassume in poche parole l'obiettivo del discorso senza sfumature del presidente della Repubblica in ricordo della lotta di Liberazione. Poche parole che potrebbero sembrare scontate ma non lo sono in questa fase politica dove le polemiche su fascismo ed antifascismo hanno scaldato la vigilia del 25 aprile. Il primo celebrato da una premier di un governo autodefinito di "destra-centro". Forse per questo Sergio Mattarella ha deciso di fissare paletti invalicabili scegliendo Boves, simbolo del primo eccidio nazista, come sede del suo intervento. Che ha voluto chiudere con una frase che ha accompagnato le manifestazioni di diverse generazioni: "Ora e sempre Resistenza!", ha infatti scandito il capo dello Stato dal teatro comunale di Cuneo, città medaglia d'oro alla Resistenza, riprendedole dalla lapide "ad ignominia" eretta nel municipio e dedicata allo spietato capo delle forze militari di occupazione tedesca, Albert Kesselring. Incrociando lezioni di storia a inviti al coraggio nel riconoscere il valore dell'antifascismo, il presidente è stato chiarissimo nello spiegare come e dove va celebrata la Festa della Liberazione per non svilirla: "ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d'oro al valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d'argento, delle 228 medaglie di bronzo per la Resistenza. La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste. E' qui che la Repubblica celebra oggi le sue radici, celebra la Festa della Liberazione".
Parole lette da tutti come una stoccata al presidente del Senato che proprio in quelle ore si trovava oltreconfine, a Praga per visitare un campo nazista, certo, ma anche per rendere omaggio alla memoria di Jan Palach, simbolo della lotta al comunismo, che poco c'entra con il 25 aprile. Dall'altra sponda del fiume il governo ha ascoltato per lo più silenziosamente le inequivocabili parole del capo dello Stato. Rispettato il galateo istituzionale accompagnando il capo dello Stato nella deposizione di una corona all'Altare della Patria (c'erano anche La Russa e il presidente della Camera Lorenzo Fontana) Giorgia Meloni ha cercato di anticipare i tempi con un intervento sul Corsera che segnala qualche passo in avanti sulla condanna piena del fascismo. Ma certo la sua assenza fisica in qualche luogo simbolo degli orrori del nazi-fascismo ha plasticamente mostrato il diverso sentire tra Chigi e Quirinale. Una storia, quella del fascismo e della lotta di Liberazione, letta ancora diversamente in Italia, come si evince dalle parole della premier affidate al quotidiano milanese: "mi auguro che alcune riflessioni possano contribuire a fare di questa ricorrenza un momento di ritrovata concordia nazionale", premette la leader di Fratelli d'Italia. Quindi il passo sucessivo che sicuramente rappresenta un'evoluzione distensiva seppur Meloni sembri voler sottolineare che queste riflessioni in Fratelli d'Italia sono state già metabolizzate da tempo: "da molti anni, e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo". Ma non rinuncia ad una stoccata alla sinistra quando ricorda che la una parte politica continua ad "usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico: una sorta di arma di esclusione di massa". "Però non riesce a dire che la Repubblica è antifascista, nata dalla Resistenza. Non a caso nel simbolo del suo partito arde ancora la fiamma che richiama la memoria della nefasta dittatura fascista", la attacca il Pd. Toni e luoghi completamente diversi, quindi, se si pensa alla nettezza con la quale il presidente della Repubblica ricorda "la coerenza" di chi salì in montagna a combattere rispetto a quanti volevano fermarsi con il governo Badoglio. Anche qui, per Mattarella una citazione: 'La guerra continua fino alla cacciata dell'ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani". Parole di Duccio Galimberti nella piazza di Cuneo: era il 26 luglio del 1943. L'anno successivo il partigiano, tra i fondatori del Partito d'Azione, fu assassinato dai fascisti nell'Italia occupata. Quasi 100 mila persone in piazza a Milano con l'Anpi hanno accompagnato a distanza il pensiero del presidente: una normalità per il 25 aprile me che oggi non è stata al centro della notizia.