Completo scuro di ordinanza, cravatta azzurra, e tra le mani un cartello bianco, tenuto ben in vista, dalla scritta blu in olandese: 'Geen Cent Naar Italie', 'Nemmeno un centesimo all'Italia'. In molti ricordano Geert Wilders così, tra le vie de L'Aia, nelle ore più tormentate degli interminabili negoziati che nell'estate del 2020 portarono alla nascita del Recovery fund. Oggi che il veterano anti-Islam della politica olandese accarezza il sogno di diventare premier, il suo manifesto 'I Paesi Bassi al primo posto' di trumpiana memoria richiama il dna del sovranismo che punta a un'Europa delle madrepatrie, con la riconquista delle frontiere e delle prerogative nazionali.
Nato nel 1963 da padre olandese e madre indonesiana a Venlo, vicino al confine tedesco, il patriota Wilders è cresciuto seguendo i precetti della religione cattolica. Entrato in politica poco più che ventenne tra le fila dei liberali di destra del Vvd - la stessa famiglia del premier uscente Mark Rutte e della leader di origini curde Dilan Yesilgoz con la quale ora vorrebbe trovare un accordo per governare -, nel 2004 il leader xenofobo decise di uscire dal gruppo a causa di quella che considerava una posizione mite nei confronti dell'Islam e dell'immigrazione.
Da quel momento, il Mozart della politica olandese - soprannome che deve alla sua chioma platinata -, è diventato con il suo nuovo Partito per la libertà (Pvv) l'incubo dei musulmani e lo spauracchio di Bruxelles, alfiere della famigerata Nexit, l'uscita dei Paesi Bassi dall'Unione europea, sulla spinta del divorzio firmato dai vicini oltremanica.
Arginata per quasi due decenni dalla politica della stabilità professata da Rutte, negli ultimi anni la stella di Wilders sembrava essersi sbiadita, oscurata dal rampante populista Thierry Baudet. La sua presenza costante nell'arena del dibattito politico dominato dall'immigrazione alla fine però lo ha portato a fare breccia nel cuore dell'elettorato.
Celebrato dai sovranisti e dall'ultradestra di tutta Europa, il leader dalla retorica incendiaria ha sempre puntato sul disprezzo dell'Islam, alimentato - aveva rivelato - dall'assassinio del regista radicale anti-islamico Theo van Gogh e dal tempo trascorso da ragazzo in un kibbutz in Israele. Amico di Vladimir Putin e primo tifoso di Donald Trump - con cui si dice condivida finanziatori occulti del suo Pvv (che conta formalmente un solo membro, lui stesso) - l'alleato di vecchia data di Matteo Salvini e Marine Le Pen in passato è salito agli onori delle cronache per aver promesso di cacciare "la feccia marocchina" dall'Olanda e di mettere al bando il Corano.
Una linea che gli è valsa la scorta e una condanna penale. Oggi promette posizioni più moderate poiché fare il premier "è diverso" dall'essere il leader dell'opposizione. Ma i punti cardine su immigrazione e asilo non cambiano: controllo delle frontiere olandesi, detenzione e deportazione degli immigrati clandestini, reintroduzione dei permessi di lavoro per i lavoratori all'interno dell'Ue. I soldi dei contribuenti, allo stesso modo, devono restare nei Paesi Bassi. Anche perché, sentenziò sui social nel 2020, "gli italiani difficilmente pagano le tasse".
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