L'autonomia non danneggerà il Sud e metterà semmai gli amministratori davanti alle loro "responsbilità", dividendo "i capaci e quelli che capaci non sono stati". Nel giorno in cui Vincenzo De Luca porta a Roma il malcontento dei sindaci campani Giorgia Meloni sigla il patto di coesione con la Calabria e va all'attacco di chi "fa le manifestazioni" quando meglio sarebbe che si "mettesse a lavorare".
Uno scontro che finisce agli insulti, visto che il governatore non si fa mancare un "è una stronza, senza soldi lavorasse lei", dopo avere tentato invano di farsi riceve al ministero di Raffaele Fitto e poi a Palazzo Chigi.
"Non c'era nessuno, spariti tutti", lamenta De Luca dopo che al corteo - cui hanno partecipato delegazioni anche dei primi cittadini calabresi, lucani e pugliesi fa sapere l'ex governatore Mario Oliverio - si sono registrati momenti di tensione con le forze dell'ordine durante il tentativo di avvicinarsi alla sede del governo. Agli incaricati di gestire l'ordine pubblico che a via del Corso gli dicono che "non si può andare oltre" De Luca urla che "allora" bisogna che qualcuno li riceva "sennò dovete caricarci, è chiaro? Ci dovete uccidere".
Scene in cui, stigmatizza il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, "è mancato il rispetto per gli uomini e le donne in divisa anche da parte di chi, per il ruolo che ricopre, dovrebbe invece rappresentare le proprie idee all'insegna del massimo rispetto delle istituzioni e delle regole". Ma sono le parole di De Luca, pronunciate in un Transatlantico semideserto, a fare scattare la batteria di Fratelli d'Italia, ministri compresi, a difesa della premier insultata dal "turpiloquio" del governatore, che ha fatto una "squallida esibizione", ha "mortificato la democrazia", "si dovrebbe dimettere e andare a fare il clown" e così via.
Ma i meloniani puntano il dito soprattutto contro il silenzio dei vertici del Pd (nessun commento dem, a parte una blanda presa di distanza dai "toni" di De Luca da parte del responsabile Sud Marco Sarracino). Non parla Elly Schlein, che pure è stata chiamata in causa direttamente da Meloni, che ha respinto le accuse di voler "dividere l'Italia" e "abbandonare, tradire il Sud" lanciate ai "patrioti" dalla segretaria dalle colonne di Repubblica.
Un segnale di distanza dopo la vicinanza che si era registrata a inizio settimana sulla mozione per Gaza, mentre continuano i contratti tra gli staff per concretizzare l'atteso duello tra le due. Sicuramente prima che scatti la par condicio, è da vedere se prima o dopo Pasqua. Prima è complicato, perché si vota in Sardegna e in Abruzzo e entrambi i fronti sono impegnati nella campagna elettorale. E in più Meloni ha da gestire anche l'agenda internazionale, che la vedrà presiedere il primo G7 virtuale della presidenza italiana il 24 febbraio in occasione dell'anniversario dell'aggressione russa all'Ucraina. E poi in Canada, a inizio marzo. Intanto la battaglia si tiene a distanza, su temi sensibili anche in chiave elettorale.
L'Autonomia "rafforzerà il Sud", insiste da Gioia Tauro Meloni, che difende anche la scelta di andare avanti sul Ponte di Messina - cavallo di battaglia dell'alleato Matteo Salvini con cui nelle ultime settimane sono emerse più le divisioni che i punti in comune. Dalle misure in favore degli agricoltori ("ci siamo accorti delle difficoltà" ben prima "di vedere i trattori in piazza", ripete la premier) alla nuova schermaglia sul terzo mandato che potrebbe scaricare come effetto domino, si ragiona tra i parlamentari, nuove tensioni sul premierato. Oggi però le scintille sono tutte con gli avversari. Con chi "è stato meno capace" finora di gestire i fondi di coesione e non ha ottenuto "risultati". E "non mi stupisce - affonda Meloni - che l'autonomia faccia paura particolarmente a quelli che hanno indicatori più bassi". Leggi Vincenzo De Luca.
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