L'incontro, a Bari Vecchia, a casa della sorella del boss Antonio Capriati ci fu, ma Antonio Decaro "probabilmente non c'era" e l'unico scopo era quello di "ribadirle con determinazione che le regole non le facevano più loro a piazza San Pietro ma le facevamo noi".
Il governatore pugliese, Michele Emiliano, ha confermato ma allo stesso tempo precisato il racconto fatto, oltre un mese fa, dal palco durante una manifestazione pubblica per manifestare contro la decisione del governo Meloni di inviare la commissione di accesso a Bari. Questa mattina, il presidente della Regione Puglia è stato ascoltato per oltre cinque ore dalla Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, dopo le polemiche dei giorni scorsi sulla data di convocazione.
Disputa che è proseguita anche oggi e che ha accesso gli animi dei commissari. Il governatore è stato ascoltato nell'ambito dell'approfondimento sulle inchieste su presunte infiltrazioni nel territorio pugliese e sull'indagine che ha portato alla Commissione di accesso al Comune di Bari. La convocazione è stata decisa anche dopo le polemiche per la frase del governatore pronunciata durante una manifestazione pubblica sul suo incontro con la sorella del capo clan dopo presunte minacce rivolte all'allora assessore ai Trasporti, Antonio Decaro, da affiliati al clan. Emiliano ha prima ricordato che da magistrato incardinò "il processo Dolmen" che portò proprio alla condanna del boss. "L'incontro da me citato dal palco - ha poi proseguito - aveva l'unico scopo di far capire che l'aria era cambiata, che dovevano comportarsi bene, mai per chiedere protezione come qualcuno sostiene in maniera strumentale.
L'evento fu un evento come tutti gli altri per imporre il rispetto delle regole anche a chi non aveva capito il significato politico e sociale dell'amministrazione che io guidavo". Il governatore ha posto, però, dubbi sulla presenza di Decaro: "Non escludo di aver dato dettagli sbagliati" dal palco e "se il sindaco di Bari dice di non essere stato presente probabilmente ha ragione lui". Non sono mancate le scintille durante l'audizione, il primo scontro verbale è stato tra Emiliano e la presidente Colosimo: il battibecco si è innescato quando Colosimo ha chiesto conto al governatore dei presunti messaggi che Emiliano avrebbe inviato all'ex assessore e commissario Arti, Alfonso Pisicchio, invitandolo a dimettersi perché una inchiesta su di lui aveva subito un'accelerazione. Qualche ora dopo i presunti messaggi whatsapp Pisicchio è stato arrestato dalla guardia di finanza. Colosimo ha chiesto se effettivamente siano stati inviati questi messaggi e da chi avrebbe ricevuto le informazioni sulle indagini e perché non ha denunciato la fuga di notizie. Emiliano ha replicato stizzito, sostenendo che la "domanda è incongrua rispetto all'oggetto dell'audizione". "Non ho realizzato condotte non trasparenti - ha specificato - sono a disposizione della Procura se dovesse essere necessario un approfondimento". E ha concluso: "Mi risulta leggendo la stampa che i messaggini sarebbero stati acquisiti dalla Procura, quindi l'unico soggetto che possa dare risposte è il procuratore della Repubblica che avete ascoltato".
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