La scommessa è tutta lì, nel riuscire a spuntare quel "commissario di serie A" evocato dal suo vicepremier, Antonio Tajani, anche se in Consiglio non ha sostenuto i nomi per i nuovi vertici Ue proposti, senza coinvolgerla, da popolari, socialisti e liberali.
Una scelta di "coerenza", rivendicano i suoi, mentre Giorgia Meloni si prepara al "secondo tempo" della partita per le nuove istituzioni europee. Se il leader azzurro confida che alla fine anche i meloniani possano dare il loro sì il 18 luglio a Ursula von der Leyen, lei per ora non scopre la sua strategia, che sarà affinata in base a come si comporrà il quadro nelle prossime settimane. Ma certo è pronta a fare pesare la sua pattuglia all'europarlamento. La strada per il bis della presidente della Commissione, sono convinti anche Roma, è piuttosto stretta. Sulla carta von der Leyen può contare su 399 voti (361 quelli necessari). Ma al Pe la percentuale di franchi tiratori è alta, attorno al 10%, si ricorda in ambienti politici, quindi i prossimi giorni saranno dedicati a cercare di rafforzare il suo pacchetto di voti. Guardando ai verdi, come piacerebbe ai socialisti, von der Leyen rischierebbe di dividere il Ppe e di perdere parte del voto dei popolari.
Allo stesso modo con una apertura esplicita ai Conservatori, guidati da Meloni, lascerebbe sul campo il sostegno dei socialisti. La presidente uscente, e in pectore, sarà quindi chiamata a un grande esercizio di equilibrismo sui temi più caldi, dall'immigrazione all'approccio al green deal. E in base "ai contenuti del suo programma", oltre che a quel "riconoscimento del ruolo", l'astensione dell'Italia in Consiglio potrebbe anche cambiare all'Eurocamera. Ma la strategia, assicura chi in queste ora ha incrociato la premier, sarà appunto decisa più in là. "Fino al 18 non succede niente", sintetizza un alto dirigente Fdi. Poi se il bis sarà confermato si aprirà un certo tipo di scenario. Se von der Leyen dovesse invece saltare (per mano del "fuoco amico" dei popolari, dicono anche in casa socialista), sarebbe il "caos", c'è consapevolezza sia nella maggioranza sia nell'opposizione italiana. Difficile, si valuta a Roma, che si possano aprire le porte a un tecnico, visto che le altre cariche di vertice hanno avuto una chiara assegnazione politica e il Ppe non rinuncerebbe in ogni caso a quella casella.
Per ora, comunque, si tratta di aspettare. I contatti proseguono e proseguiranno, dietro le quinte, man mano che ci si avvicinerà al d-day. Nel frattempo si guarda con un certo interesse al voto per le legislative francesi, dal quale Emmanuel Macron potrebbe uscire ammaccato e con una "coabitazione" con la destra di Marine Le Pen, che, tra le altre cose, rimetterebbe in discussione sia il nome francese da indicare per la commissione (l'inquilino dell'Eliseo vorrebbe ripresentare Thierry Breton), sia il portafoglio da affidargli. Proprio sul fronte della commissione "le opzioni sono tutte sul tavolo". Perché, ricordano i meloniani, la presidente dovrà scegliere come distribuire le deleghe e le vicepresidenze. Potrebbero essere di più o di meno dell'ultima legislatura, spiega chi è avvezzo alle dinamiche europee, e la carica esecutiva potrebbe esserci o anche non esserci. In questo contesto si muove l'Italia, puntando a quel "commissario di serie A", con un portafoglio economico "di peso", indicato da Tajani. L'identikit continua a rispondere al nome di Raffaele Fitto.
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