Assoluzione dall'accusa di associazione a delinquere con la formula "perché il fatto non sussiste". E' quanto hanno deciso i giudici della sesta sezione di Cassazione nei confronti dell'ex presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante e altri due imputati nell'inchiesta su presunte attività di dossieraggio. I supremi giudici hanno fatto cadere le accuse anche per i reati di rivelazione del segreto di ufficio e di accesso abusivo a sistema informatico, "in questo ultimo caso limitatamente alle condotte poste in essere fino al giugno 2014" per intervenuta prescrizione. I giudici hanno disposto, quindi, un appello bis per il ricalco della pena per l'accesso abusivo compiuto dopo il 2014 e di corruzione, fattispecie per le quali è stata dichiarata inoltre "irrevocabile la responsabilità penale".
Nel primo processo di appello, nel luglio del 2022 davanti ai giudici di Caltanissetta, Montante vide ridursi da 14 a 8 anni la condanna. Con lui erano stati condannati a 5 anni l'allora capo della security di Confindustria, Diego Di Simone, e a 3 anni e 3 mesi per il sostituto commissario Marco De Angelis. La parola ora passa ai magistrati di Caltanissetta che dovranno analizzare la decisione degli ermellini che hanno, inoltre, reso definitiva l'assoluzione per il colonnello Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Gdf di Caltanissetta.
Nella requisitoria del 2 ottobre scorso il sostituto procuratore generale, Elisabetta Ceniccola, aveva affermato che a "Montante viene contestato il ruolo apicale di un gruppo con un circolo di interessi un 'sistema' che serve a mantenere a galla tutti i partecipi e Montante, per conservare la sua posizione, ha bisogno dell'attività di dossieraggio".
Secondo il primario impianto accusatorio l'imprenditore, paladino antimafia tanto da ricoprire anche la carica di responsabile della legalità di Confindustria, grazie ai suoi contatti e all'influenza che esercitava in alcuni ambienti istituzionali, avrebbe creato una sorta di rete spionistica: in cambio di favori, esponenti delle forze dell'ordine gli avrebbero dato informazioni su inchieste a suo carico, dritte sui "nemici", consentito di avere pile di dossier su personaggi influenti. Secondo gli inquirenti Montante sarebbe stato la testa di una sorta di "governo parallelo" in Sicilia, e avrebbe "diretto" la vita politica e amministrativa dell'isola, piazzando suoi uomini in posti strategici.
Nella richiesta di arresto i pm nisseni affermarono che "è stato accertato con sufficiente chiarezza che Montante, oltre a promettere e a far ottenere occupazioni lavorative, si è prodigato per soddisfare aspettative di carriera o trasferimenti di sede". Alla corte dell'imprenditore, secondo l'accusa, erano in tanti: vertici delle forze di polizia e dei Servizi, prefetti, imprenditori, giornalisti, magistrati che a lui si rivolgevano per avanzamenti di carriera.
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