Prima il tentativo di boicottare i Giochi invernali di Sochi per la legge anti gay, poi i Mondiali di calcio 2018 per la crisi ucraina e l'ombra della corruzione, ed ora lo spettro di essere banditi per due anni da tutte le competizioni di atletica leggera, a partire dalle Olimpiadi di Rio, a causa del doping. Non c'e' pace per lo sport russo, che Putin ha rispolverato come potente macchina di propaganda. Sulle orme dell'Urss, di cui pero' sembra aver ereditato anche il doping di Stato, stando al rapporto della commissione della Wada, l'agenzia mondiale preposta a combattere il fenomeno.
Una piaga che in Russia ha contagiato molte discipline, come confermano le cronache degli ultimi anni, ricche di scandali e squalifiche. L'ultimo scoop, quello che ha avviato l'indagine della Wada, e' stato firmato in dicembre dalla tv pubblica tedesca Ard, un documentario dal titolo ''Doping confidenziale: come la Russia fabbrica i suoi vincitori''. Vi si accusano le autorita' del Paese di fare in modo che gli atleti vengano dopati in modo sistematico e aggirino i controlli su sangue e urine, pagando il 5% dei loro guadagni. L'ironia della sorte vuole che le contestazioni siano fatte da Vitaly Stepanov, ex addetto dell'agenzia anti doping russa (Rusada), e da sua moglie Iulia Rusanova, una ex degli 800 m bandita per doping, con tanto di testimonianze di atleti russi rei confessi. La Wada sembra aver messo a nudo un sistema di pressioni e coperture che coinvolgerebbe non solo il ministero dello sport ma persino i servizi segreti (Fsb), onnipresenti nei giochi di potere di Putin. Il leader del Cremlino, cultore di una vita sana e sportiva, ha piu' volte condannato pubblicamente il doping. ''E' importante tracciare una linea di divisione tra cio' che e' consentito e cio' che e' proibito per proteggere la purezza dello sport, come pure la salute e la vita degli atleti", aveva ammonito lo scorso giugno, lamentandosi per la recente crescita dei casi di doping tra gli atleti russi e auspicando ''misure che rendano gli abusi ingiustificati nella dimensione morale, finanziaria, della carriera e dell'immagine''.
Ma la realta' pare un'altra e quella linea di divisione tra il lecito e l'illecito sembra essere stata cancellata in nome dei risultati, del prestigio, del podio in un'arena che non e' piu' solo sportiva ma geo-politica. L'organizzazione di grandi eventi sportivi si e' trasformata cosi' in vetrina per rafforzare l'orgoglio di un Paese tornato al centro della scena internazionale come superpotenza. Il primo successo sono stati i Mondiali di atletica leggera del 2013, dove per la prima volta dal crollo dell'Urss il Paese ha battuto gli avversari di sempre, gli americani, per numero di ori, anche se il rapporto della Wada rischia di gettare nuove ombre su quel primato. A Sochi invece Putin ha portato le prime Olimpiadi invernali russe, 34 anni dopo quelle estive di Mosca 1980, e le ha usate come palcoscenico per la celebrazione del suo potere e della rinascita russa a 24 anni dalla fine dell'Unione Sovietica, suggellata da uno storico primo posto nel medagliere. Lo scorso settembre, infine, ha lanciato in Piazza Rossa il countdown a 1000 giorni dai primi Mondiali di calcio, nel 2018, convinto che ''entreranno nella storia dello sport'', anche se per ora sono entrati solo in quella delle inchieste giudiziarie. Adesso lo scandalo doping appanna passato e futuro dello sport russo. E non bastera' forse gridare al complotto occidentale.
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