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La vita dei disperati nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria

Redazione Ansa

ROMA, 31 MAG - Cemento, sbarre di ferro alte quasi otto metri, un filo con pochi panni stesi ad asciugare al sole.
Qualcuno gioca a pallone, altri si allenano con dei pesi artigianali ricavati da un bastone e alcune bottiglie d'acqua, un ragazzo dorme su un materasso all'aperto. Ai piedi ciabatte, telefonini degli anni Duemila in mano, sui muri disegni a matita e scritte in arabo. Il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, alle porte di Roma, è un luogo adibito ad accogliere un centinaio di persone per pochi mesi. In realtà, sono in molti a vivere lì da più tempo, in condizioni che, raccontano, "ricordano quelle dei manicomi del passato". Sono scene di solitudine e di attese. In molti casi il senso di abbandono sfocia in disperazione e in gesti estremi, come quando, pochi giorni fa, un ragazzo egiziano si è arrampicato sulle sbarre della struttura per rompere le telecamere di sorveglianza ed essere così ascoltato. ANSA / MASSIMO PERCOSSI

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