Scrive, recita, dipinge. Dario Fo vive con un'eccezionale
energia i suoi novant'anni.
Non era nei suoi programmi "arrivare fino a questo punto e mi
meraviglia non essere rincoglionito. Ho qualche mancanza di
memoria per certi fatti, situazioni, non ricordo i nomi, ma non
ho mai prodotto così tante cose e non mi sono mai appassionato e
divertito come in questi tempi", racconta Fo che il 17 marzo
vedrà arrivare in libreria 'Dario e Dio' (Guanda) in cui,
sollecitato da Giuseppina Manin, tira le somme della sua lunga
esplorazione dei misteri più o meno buffi della fede e della
religiosità.
E' l'ultimo titolo della ricchissima produzione editoriale di
questi ultimi anni, accompagnata spesso da sue illustrazioni,
che lo hanno visto anche tornare in prima serata su Rai1 dopo
circa quarant'anni e continuare a recitare in teatro con
spettacoli ispirati in alcuni casi ai suoi romanzi. Basti
pensare a quello tratto da 'La figlia del Papa', tra i cinque
titoli - l'ultimo è 'Razza di zingaro' - pubblicati negli ultimi
due anni da Chiarelettere fra cui spicca anche il 'Nuovo Manuale
Minimo dell'Attore', pensato da Dario Fo con la moglie Franca
Rame. Una storia di vita e di passione in cui troviamo il teatro
insieme, l'Italia del dopoguerra, degli anni Settanta, la prima
di Mistero Buffo a Parigi, il viaggio in Cina, censure e storie
incredibili. Tra i libri usciti negli ultimi due anni anche
'Storia proibita dell'America' (Guanda), 'C'è un re pazzo in
Danimarca' (Chiarelettere) e 'Ciulla, il grande malfattore'.
"Rispetto a quando avevo 70 anni ho perso energia, ma me la cavo
ancora bene: lavoro, disegno, scrivo e recito che è la cosa più
pesante. Dopo due ore di rappresentazione qualsiasi essere umano
è molto stanco ma è il mestiere, la conoscenza del palcoscenico
che mi permette di recitare ancora oggi", afferma Fo, che dopo
essersi diplomato all'Accademia di Brera e aver frequentato il
Politecnico, ha scoperto presto la vocazione per il teatro
debuttando in scena negli anni Cinquanta con Franco Parenti e
Giustino Durano. Questa grande vitalità si muove però in uno
scenario piuttosto nero. In un "mondo pieno di morti che
camminano. Un uomo - dice Fo - che non partecipa alla vita della
comunità, che si estranea, è un morto che cammina. Ci sono tante
persone, anche giovani, che tirano a campare. Questa è una
società che non ti dà più stimoli. Vedere persone che si
lasciano comprare, che leccano i piedi e accettano
mortificazioni pur di stare a galla. E' così che uno muore
perché ha sposato l'ovvio, il banale".
Figlio di un capostazione, nato a Sangiano, in provincia di
Varese, il 24 marzo 1926, Premio Nobel per la Letteratura nel
1997 tra critiche e consensi, Fo non fa sconti al nostro
presente: "Abbiamo perso l'indignazione, la dignità, la
coscienza, l'orgoglio di essere persone che hanno inventato la
civiltà". "Siamo degli ingiusti che se ne fregano della
giustizia. Cosa lasciamo ai nostri figli?" sottolinea il Nobel
che ha dedicato tutta la vita all'arte e all'impegno insieme
alla sua Franca.