Craig gay, 'l'immagine macho? Sfido me e il pubblico'
Guadagnino, 'film non è scandalo ma storia d'amore e solitudine'
LIDO DI VENEZIA
(dell'inviata Alessandra Magliaro) (ANSA) - LIDO DI VENEZIA, 03
SET - Preceduto dalla fama di film 'scandalo', ad alto tasso di
sesso gay, come da estrazione letteraria del romanzo di William
S. Burroughs, si svela oggi al pubblico della Mostra del cinema
di Venezia il nuovo film di Luca Guadagnino, Queer, con l'ex
James Bond Daniel Craig nei panni di uno scrittore expat
americano nella Città del Messico sordida degli anni '50,
dipendente da sesso e oppiacei, che perde la testa per il
giovane Eugene Allerton (Drew Starkey), un incontro che diventa
attrazione fatale.
Guadagnino è un conoscitore di Burroughs, con Kerouac tra i
padri letterari della Beat Generation. "Queer, più di Pasto Nudo
ad esempio, è il mio preferito, ha questa forma stupenda,
picaresca, con un protagonista che gira la notte, va nei bar,
parla di continuo, intrattiene, è comico, buffo, tragico
fragile, nudo e poi bam! incontra qualcuno che lo incontra a sua
volta, ed è come se questo incontro fosse inevitabile,
inesorabile". Al centro di questa avventura, che da Città del
Messico, dalla suburra della comunità degli americani
espatriati, omosessuali, bevitori, gaudenti si sposta in Sud
America alla ricerca della yage, la radice che dà la telepatia,
c'è però la grande solitudine allucinata e tossica del
protagonista Craig. "Il filosofo György Lukács diceva 'essere
uomini, essere umani significa essere soli', e la mia amica
Tilda Swinton mi ha sempre detto 'we love and die alone', amiamo
e moriamo in solitudine". Teme un'etichetta di scandalo per
Queers (alla prima stampa anche qualche solitario buu) ? "Ha una
complessità di significati diversi rispetto ad oggi. All'epoca
di Burroughs, Queer voleva dire checca, frocio un termine
denigratorio oppure persona strana, diversa. Moralmente? Non lo
so, non mi sono mai posto i problemi della morale e non mi
interessa. Queer per me è una profonda radicale storia d'amore
che ci riporta alla condizione terminale di essere umani, cioè
che siamo soli". Non è un film sugli anni'50 (peraltro
ricostruiti con lo scenografo Stefano Baisi, il costumista
Jonathan Anderson) "ma sull'universo di Burroughs, ricreato
spero nel modo più profondo e dettagliato possibile. E se
l'immagine estetica del film piace, è merito suo". Guadagnino ha
cercato Daniel Craig come protagonista ("divino, attore sublime,
magnifico anche a teatro,") convinto del suo rifiuto, "invece
una settimana dopo faceva il film". E così il protagonista della
saga di James Bond è diventato Lee, l'alter ego dello scrittore.
"È la prova della mia vita dice il direttore della Mostra
Barbera? Allora la mia carriera è andata! Ma se finisce qui è
meglio che altrove", ha scherzato Craig con l'ANSA. Da anni
"volevo lavorare con Guadagnino e quando si è presentata
l'opportunità l'ho colta al volo". Dice Craig di non avere paura
di spiazzare il pubblico con un personaggio omosessuale dopo un
macho come Bond: "non ho alcun controllo sulla mia immagine,
scelgo di interpretare ruoli che rappresentano una sfida, per me
stesso e per il pubblico, cercando di essere il più interessante
e creativo". (ANSA).