Il Tar della Valle d'Aosta ha ordinato al ministero della Difesa di risarcire con 103 mila euro un alpino per il tumore diagnosticato dopo aver partecipato, tra il 1999 e il 2008, a missioni in Kosovo e in Afghanistan, dove venivano impiegati proiettili anticarro "contenenti uranio impoverito". La sentenza di condanna è del settembre 2017 e a marzo è diventata definitiva, ma il dicastero non ha ancora versato l'indennizzo.
Le condizioni del militare erano peggiorate nel 2011: con la diagnosi di un "Linfoma di Hodgkin classico a cellularità mista" - si legge nella sentenza del 20 settembre 2017 - veniva sottoposto a cicli di chemioterapia. Curato e rientrato al lavoro, era stato destinato a mansioni da impiegato. Gli era stata riconosciuta l'indennità per causa di servizio ma non il risarcimento. Concedendo però quell'indennizzo, per i giudici era la stessa amministrazione - "notoriamente restia al riconoscimento" con il Comitato di verifica cause di servizio - a certificare "che l'insorgenza della patologia è dipesa" dalle "condizioni di lavoro, cioè nell'esposizione ad uranio impoverito". Il Tar aveva quindi smentito "la tesi negazionista dell'Avvocatura", secondo cui all'epoca era "oggettivamente impossibile prevedere e prevenire ciò che in quegli anni era sconosciuto e non prevedibile".