(di Thierry Pronesti)
"Molti hanno una demenza. Vedono noi tutte bardate e ci scambiano per extraterrestri.
"Quando abbiamo saputo del primo caso Covid positivo - ricorda Elisa - non c'è stato molto sconvolgimento. Era solo un paziente e stava in una camera singola. Lo abbiamo messo in isolamento. Ma non aveva sintomi evidenti, prima di saperlo contagiato aveva condiviso gli spazi comuni con gli altri. Così quando sono stati fatti i tamponi a tappeto, la maggior parte degli ospiti è risultata positiva. E' stato un fulmine a ciel sereno". Tutto è cambiato: la microcomunità è diventata un'estensione dell'ospedale, un reparto Covid per anziani, chiuso al resto del mondo. "All'inizio sono rimasti nelle loro camere per qualche giorno. Poi abbiamo iniziato ad alzarli dal letto. A mancare è la presenza dei familiari. Cerchiamo di passare le telefonate, in modo che gli ospiti possano sentire la loro voce, mantenere un minimo di contatto", spiega l'operatrice. "A ogni inizio del turno indossiamo tutti i dispositivi di protezione, noi stesse ci riconosciamo solo dalla voce. A volte - sottolinea Elisa - gli anziani pensano di essere finiti su un altro pianeta, la situazione è surreale. I pochi che capiscono cosa sta accadendo sono risultati negativi. Seguono i telegiornali, hanno momenti di sconforto. Noi proviamo a non far crollare il morale, ma dobbiamo trattare tutti da positivi. E sanno che stando lì dentro potrebbero essere contagiati da un momento all'altro".