Il primario "Leo poteva avere interesse a far superare la prova ai candidati a lui 'vicini' e considerati meritevoli, ma ciò che deve essere provato è che Leo rivelò a questi le domande". Così la Corte di Cassazione motivando la sentenza dello scorso 3 ottobre, con cui aveva disposto un processo d'appello bis, per la sola ipotesi di reato di rivelazione di segreto d'ufficio, nei confronti di Livio Leo, di 60 anni, direttore della struttura di Ostetricia e ginecologia dell'Usl Valle d'Aosta.
Il processo riguarda un concorso per medici ginecologi promosso dall'azienda sanitaria valdostana nella primavera del 2018. Leo - che era stato condannato in secondo grado a dieci mesi di reclusione per abuso d'ufficio e rivelazione di segreto d'ufficio - era presidente della commissione giudicatrice. Per quanto riguarda la contestazione di abuso d'ufficio, la Cassazione aveva annullato senza rinvio la condanna di Leo e quella a otto mesi di reclusione nei confronti di un altro medico, Enrico Negrone (64), in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Già assolti "per non aver commesso il fatto" i quattro candidati che avevano superato la prima prova scritta, poi annullata dall'Usl.
Secondo i supremi giudici della sesta sezione penale, la Corte d'appello di Torino aveva fatto discendere la prova "con un ragionamento indiziario instabile, fondato sulla singolarità del modo con cui la prova fu assunta e al fatto che i quattro 'favoriti' ottennero un punteggio alto. Si tratta di indizi che tuttavia non hanno una capacità dimostrativa del fatto ignoto da provare e cioè che quelle notizie riservate furono rivelate e che a rivelarle fu proprio l'imputato".
“I giudici di merito - scrive la Cassazione - hanno assolto i candidati che parteciparono al concorso - non essendovi la prova che questi avessero ‘sollecitato la previa comunicazione delle prove’ - e che, secondo la prospettazione accusatoria, avrebbero beneficiato della rivelazione delle notizie coperte dal segreto da parte dell'imputato, e hanno invece fatto discendere il giudizio di responsabilità nei riguardi del ricorrente perché era stata ‘somministrata una prova diversa da quella prevista dal bando' e per 'aver prescelto gli argomenti fuori dai locali dell'Ausl, dove doveva avvenire il concorso e, quel che è peggio, ben sei giorni prima della prova e di aver confezionato 150 quesiti prima del giorno della prova’. In tale contesto la Corte ha ritenuto certo che la condotta di rivelazione sarebbe attribuibile al solo Leo e che detta prova discenderebbe sostanzialmente dal punteggio ottenuto in sede concorsuale dai quattro candidati ‘favoriti’, comunque estranei al reato”.
Per la Cassazione “non è chiaro” da “una parte, perché non sarebbero rilevanti i molteplici elementi di prova volti a dimostrare che le modalità con cui la prova scritta fu assunta non erano singolari e per ciò sospette, atteso che quel modo di espletamento era diffuso e praticato, e, dall'altra, quando e come Leo avrebbe rivelato il contenuto delle domande ai quattro candidati favoriti, in quali circostanze questi sarebbero venuti a conoscenza del contenuto delle prove e perché i candidati ‘favoriti’ non avrebbero potuto ottenere quei punteggi anche senza la rivelazione del contenuto delle domande”.
Il fascicolo della procura di Aosta era stato aperto nei primi mesi del 2018, a seguito di un esposto di Emily Rini, allora assessore regionale. Secondo gli inquirenti durante il concorso erano stati favoriti proprio i quattro candidati finiti a giudizio, che conoscevano Leo e che con lui avevano già curato pubblicazioni scientifiche. Erano stati gli unici a superare la prova contestata, dalla quale erano rimasti esclusi altri tre ginecologi.