(di Nina Fabrizio)
(ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 07 SET - Scienza e fede
divergono spesso, o almeno, come avverte il cosmologo della
Specola vaticana, p. Gabriele Gionti, percorrono dal punto di
vista metodologico, due piani paralleli che non si incontrano
mai.
Niente a che vedere, insomma, con l'uomo e la donna "analogici".
Che gli strumenti dell'IA non abbiano una coscienza, non è un
semplice modo di dire. Fabio Scardigli, fisico del Politecnico
di Milano esperto di quantistica, tra gli autori del saggio
"Eternity between space and time. From consciousness to the
cosmos", presentato questa mattina alla Curia generalizia dei
Gesuiti, la spiega da scienziato e premette che già il
microprocessore la cui paternità è del fisico italiano Federico
Faggin, "non ha una coscienza". "E' lecito dunque chiedersi -
osserva - se l'Inteligenza artificiale abbia una coscienza, se
quando parlo con ChatGPT, insomma, dall'altra parte c'è una
mente che capisce quello che fa". Scardigli, che nella stesura
del saggio ha collaborato con Ines Teston dell'Università di
Padova, Don Andrea Toniolo, della Facoltà teologica del
Triveneto, e con lo stesso Gionti, cosmologo della Specola
vaticana, l'Osservatorio astronomico della Santa Sede e centro
di ricerca affidato ai Gesuiti (di fatto il think tank della
Chiesa in materia di astronomia, cosmologia, fisica quantistica
e molto altro), propone i punti di vista del premio Nobel, Roger
Penrose, e dello stesso Faggin i cui contributi,
complessivamente di 24 autori, sono nel saggio edito da De
Gruyter. Si tratta dunque di "software, macchine algoritmiche,
programmi molto complicati e sofisticati - afferma il fisico -,
talmente sofisticati da dare l'illusione di avere dietro una
coscienza ma in realtà, secondo Penrose, si basano su uno
svolgimento di regole, passo dopo passo, senza però una
comprensione del contesto, neppure tantomeno una creatività".
Penrose fa l'esempio del gioco degli scacchi, un gioco finito,
cioè con un numero di mosse molto grande, ma comunque limitato.
Ci sono macchine che giocano meglio del campione di scacchi ma
quando queste stesse macchine vengono messe a confronto con dei
problemi che per uno scacchista medio sono quasi banali, la
macchina, se non gli è stato fatto vedere prima quello specifico
esempio, si ferma. Fallisce.
Una posizione condivisa da p. Gionti che sottolinea:
"soprattutto la mancanza di creatività dell'IA, comporta forti
implicazioni etiche". La questione non si limita poi all'oggi.
"Questi autori - aggiunge Scardigli - ci dicono anche che non
solo gli oggetti che abbiamo per le mani oggi come Chat GPT non
hanno coscienza, ma addirittura anche quelli che potremmo avere
nel futuro, se continuiamo a pensare come pensa il mainstream
delll'intelligenza artificiale, arriveranno mai, per questa via,
alla macchina cosciente".
Con la sua assenza di "creatività", osserva anche il teologo
Toniolo, l'IA non è assimilabile all'uomo che è contraddistinto
da un linguaggio "simbolico" e quindi analogico. Che la scienza
proceda con le sue regole e i suoi calcoli, non c'è dubbio, ma
si torna all'avvertenza del gesuita Gionti: "L'uomo si fa
domande sul senso ultimo, la scienza invece no. Per questo i due
piani metodologici non si intersecano". Un'avvertenza da leggere
in un duplice senso: se la scienza diffida della teologia, e non
dovrebbe, anche la teologia non dovrebbe mettere nel mirino la
scienza. Per non tornare ai tempi nè di Galileo, nè di Georges
Lemaître, il prete cattolico teorico del Big Bang che oltre a
Dio, voleva conoscere anche le leggi dell'universo. (ANSA).
La Specola Vaticana boccia l'AI, 'non ha coscienza'
Gli scienziati gesuiti, 'non assimilabile all'uomo analogico'