(ANSA) - ROMA, 03 MAG - "Sono contro la guerra anche perché
l'ho vissuta". Al Maxxi per presentare la sua ultima mostra,
omaggio del museo nazionale delle arti e delle architetture del
XXI secolo alla sua lunga carriera di fotografo, Gianni Berengo
Gardin non perde d'occhio un momento la sua Leica a pellicola,
strumento di un mestiere che è ancora una passione senza mai
pause.
Dal celeberrimo reportage nei manicomi che spinse e aiutò la
Legge Basaglia alla vita nei campi nomadi, le mondine inchinate
nelle risaie, gli operai sulle gru, il muso delle navi da
crociera davanti a San Marco. Paesaggi, ritratti di
intellettuali, interni che hanno fatto la storia come la
stanzetta ordinata e un po' naif del bandito Giuliano o gli
interni della casa di Gramsci a Oristano. Foto dopo foto, uno
scatto dopo l'altro in questo allestimento che nel suo andamento
ondulante riproduce il Canal Grande della sua adorata Venezia,
viene fuori un ritratto d'Italia lungo 60 anni.
Gli chiedono della guerra. La guerra no, risponde dall'alto
dei suoi 92 anni magnificamente portati, la guerra non l'ho mai
fotografata. E però quello del fotografo di guerra "è un lavoro
importante e rischioso - sottolinea - i fotografi in guerra
rischiano la vita, in quella che si sta combattendo in Ucraina
ancora di più perché i russi non hanno rispetto dei civili e
neppure di chi porta il giubbotto con la scritta press". Con il
digitale poi, e soprattutto il photoshop, il falso oggi, anche
nelle foto di guerra è in agguato "le foto sicuramente vere sono
quelle fatte dal satellite". Ma resta che la guerra, ogni guerra
"è terribile, questa anche più delle altre". Lui la Russia l'ha
conosciuta, fotografata, anche amata "e posso dire che i russi
sono una cosa, Putin un'altra, spero se ne liberino presto".
(ANSA).
Al Maxxi l'Italia raccontata dall'occhio di Berengo Gardin
L'omaggio al grande fotografo. La guerra? Sempre terribile