Veneto

L'Italia possibile nel cinema di Giuseppe De Santis

A Venezia Classici docu di Steve della Casa. L'8/9 su La7

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 07 SET - "Tra i neorealisti il più moderno di ogni moderno". Così Pier Paolo Pasolini aveva definito Giuseppe De Santis, il regista di film come Riso amaro, Non c'è pace tra gli ulivi, Caccia tragica Giorni d'amore, Roma Ore 11, Un marito per Anna Zaccheo, La strada lunga un anno (per il quale è stato candidato all'Oscar come miglior film straniero dalla Jugoslavia). Un viaggio cinematografico al centro del documentario "Un'altra Italia era possibile. Il Cinema Di Giuseppe De Santis" di Steve della Casa, al debutto in Venezia Classici alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia e in onda l'8 settembre alle 22.30 su La7.
    Un ritratto tra pubblico e privato (prodotto da Beetlefilm, con Surf Film produttore associato, in collaborazione con La7), che unisce scene dei film, interviste con De Santis (1917 - 1997) e con i famigliari (la moglie Gordana Miletic De Santis e la figlia Luisa De Santis) a quelle di critici, ex allievi al centro Sperimentale (da Iaia Forte a Roberto De Francesco), colleghi e amici, come Mario Martone, Paolo Virzì, Luciano Violante, Fausto Bertinotti, ma anche Andrea Purgatori e Giuliano Montaldo, da poco scomparsi. "Ogni tanto si scoprono dei padri per il neorealismo, Rossellini, Zavattini, De Sica - spiega De Santis in un'intervista -. In realtà il neorealismo ha avuto una grande madre che è la Resistenza". Formatosi nel marxismo, generoso, colto, grande pedagogo ed umanista, nemico dei compromessi (aspetto che l'ha portato in rotta di collisione con i produttori), il regista con i suoi film ha spesso descritto quel mondo contadino nel quale era cresciuto: "Ne conosceva l'uomo, le facce, il dolore, la storia di riscatto" sottolinea Virzì. Emerge in lui attraverso film come Riso amaro e Roma ore 11 "la capacità di guardare a qualcosa che la cultura ufficiale tendeva a nascondere, la reale condizione della donna" spiega Bertinotti. Era un uomo "per cui - ricorda Luisa De Santis - era importante la dignità, l'onestà.
    L'ingiustizia lo sconvolgeva". (ANSA).
   

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