(dell'inviata Alessandra Magliaro)
(ANSA) - LIDO DI VENEZIA, 31 AGO - "Non un film di guerra ma
sulla guerra" dice Gianni Amelio in concorso oggi alla Mostra
del cinema di Venezia con Campo di battaglia, in sala dal 5
settembre con 01. Siamo nell'ultimo anno della Prima Guerra,
nell'ospedale militare dietro il fronte, guidato dall'ufficiale
medico Stefano (Gabriel Montesi), dove si curano alla meglio i
sopravvissuti e appena in piedi con le loro gambe si
rispediscono al fronte, con particolare durezza quelli che si
procurano da soli ferite per tornare a casa.
"C'è un'utopia a monte. Questa storia - racconta con passione
Amelio -: non è un apologo realistico contro la guerra ma
utopistico. Tutto va in una sola direzione: le guerre fanno
male, le vittime sono soprattutto innocenti, allora
utopisticamente per fermarle meglio che non ci siano più braccia
per imbracciare fucili. È un paradosso, certo, ma su cui si
fonda la morale del film". Liberamente ispirato a La Sfida di
Carlo Patriarca (Beatbestseller), girato tra Veneto e Trentino,
sceneggiato da Amelio con Alberto Taraglio, intreccia la storia
della comune amica infermiera Anna (Francesca Rosellini) che
arriva nell'ospedale militare e capirà che c'è un sabotatore. Ma
la Grande Guerra non è l'unico fronte perché in quel 1918 arriva
mortale la febbre spagnola.
In questo film di guerra senza la guerra Amelio sceglie di
non mostrare i morti, "sono usurate queste immagini, ne vediamo
troppe, ci sembrano paradossalmente irreali. Tutti i giorni da
tutti i fronti, dall'Ucraina, da Gaza e dai gommoni affondati,
ci arrivano scene di morti, feriti, bombardamenti e a questa
assuefazione terribile io non ci sto. Il cinema ha una forza
emotiva data dalla storia non dall'essere un comizio. Io non
scrivo a tavolino, non penso all'attualità ma al contrario ho un
modo di fare cinema viscerale, di pancia. Sono famoso per
portare la mattina al trucco agli attori foglietti con le scene
nuove, la sceneggiatura non è statica".
È chiaro, fin troppo facile che Campo di battaglia parla una
lingua contemporanea. "Dentro la guerra ci siamo già nella
realtà di tutti i giorni - dice all'ANSA Amelio - ognuno ha una
posizione morale su quello che accade ad esempio in Medio
Oriente. Le guerre hanno dentro una idea di potere che ordina un
massacro di povera gente, i soldati della Prima Guerra mondiale
morivano nei corpo a corpo, oggi è lo stesso. In Campo di
battaglia la guerra continua nell'ospedale e smuove i sentimenti
di due persone che hanno vissuto insieme sempre come amici e
compagni di scuola, ma che di fronte alla guerra reagiscono in
modo differente: uno segue il dovere, l'altro si interroga se
questo dovere sia necessario o se ci sia invece una soluzione
diversa".
Alessandro Borghi, dimagrito 12 kg per il film, racconta di
"aver scoperto di nuovo l'amore per il cinema" grazie al modo di
Amelio di farlo. "È un periodo storico in cui qualche settimana
si gira, noi abbiamo fatto una preparazione di più di un anno,
un percorso che si è arricchito giorno dopo giorno con la
creatività e l'intuizione di Amelio e la fiducia che ha riposto
in noi di farci assumere responsabilità condivise. Alla fine di
questo lavoro - prosegue Borghi all'ANSA - sono più le domande
che le risposte. Non si tratta di dire sono contro la guerra, è
una ovvietà, lo siamo tutti, qui si va su una sottilissima linea
di scelte etiche, di relatività sul giusto e sbagliato, e io
stesso mi metto in discussione, non so ma credo che non mi sarei
comportato come il mio personaggio". Aggiunge l'attore che Campo
di battaglia non cambia l'idea della guerra: "Ero contro prima,
sono contro dopo. Trovo che ci sia una grandissima
responsabilità in chi decide di prendere la parola al riguardo,
chi offre massime risoluzioni sui social che sono non verità.
Spesso mi si rimprovera di non espormi, ma siamo seri, non è che
postare la bandiera della Palestina sul mio Instagram faccia
finire la guerra".
Tornare ad innamorarsi del cinema non è stato facile: "Esco
da una serie lunga, complessa, faticosa che mi ha messo di
cattivo umore. Eri un quadratino su zoom - dice ricordando la
produzione di Supersex per Netflix - uscivi da una riunione in
cui in 3 su 60 si erano trovati d'accordo. Per me che vivo nel
terrore di non essere capito è dura. Poi è arrivato Amelio e il
suo cinema del dialogo a farmi tornare la voglia. Sfuggo in
continuazione alle cose già fatte, cerco di proporre qualcosa
sempre di diverso se non al pubblico a me stesso". Ha finito Il
Prigioniero diretto dal regista premio Oscar cileno Alejandro
Amenabar e non ha ancora un altro progetto. Il cinema italiano
in che momento è? Borghi è pessimista, "escono film che sono
brutti, un tempo incassavano e ora neanche guadagnano più e non
si capisce perché li facciamo". (ANSA).
Gianni Amelio, 'un film contro l'assuefazione alla guerra'
Borghi, Campo di battaglia mi ha fatto re-innamorare del cinema