(di Marianna Berti)
(ANSA) - ROMA, 28 LUG - La pandemia ha bloccato la voglia di
fare imprese delle donne. La scorsa primavera sono nate 10.678
aziende 'rosa' in meno, se si fa il confronto con lo stesso
periodo del 2019. Un declino demografico, a livello economico,
che arriva dopo una lunga rincorsa, con un'attività su cinque
collegata a un'imprenditrice.
La frenata risente ovviamente del lockdown. Ma dati sulle
iscrizioni di nuove attività alla mano, colpisce la differenza
tra quelle a guida femminile, che hanno subito una riduzione del
42,3%, e quelle maschili, calate ma in maniera un po' meno
drastica (-35,2%). I numeri rilevati da Unioncamere testimoniamo
così come la crisi innescata dal Covid eserciti le sue
ripercussioni più nefaste proprio sulle donne.
Il "peso" dell'emergenza è ricaduto sulle loro spalle,
osserva il presidente dell'Unione della camere di commercio
italiane, Carlo Sangalli. Ma perché? Probabilmente, immagina la
vice-segretaria generale, Tiziana Pompei, sulle donne si è
riversato un impegno familiare aggravato dalla situazione. Uno
scoraggiamento che può avere frenato tutte quelle che
desideravano, e magari ancora desiderano, aprire un'attività. La
ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti,
spiega l'arretramento dell'imprenditoria femminile anche con
quella tendenza delle donne "a rischiare meno" e questo "non
solo a livello personale ma anche sociale".
La ricetta per rilanciare le aziende in rosa secondo la
ministra sta nell'andare oltre i fondi, seppure necessari e
proprio per questo incrementati anche per fa fronte
all'emergenza: 5 milioni in più per quello diretto alle Pmi.
"Non basta: bisogna fare un passo avanti", verso "un
micro-credito reinventato", raccomanda Bonetti, pensando a una
"rete", fatta di più soggetti, che accompagni lo sviluppo
dell'imprenditoria femminile non lasciando le donne isolate.
Il rapporto di Unioncamere mostra che ci sono alcuni elementi
di "fragilità" che possono trasformarsi in zavorre visti i
tempi. C'è, per esempio, un "gap digitale" che vede le aziende
guidate da donne meno propense a ricorre a Industria 4.0. E
soprattutto, emerge dall'indagine, manca una conoscenza dei
vantaggi derivanti da quella normativa. Cosa che resta vera
anche tra le imprese giovanili. Ecco che per il sottosegretario
al ministero dello Sviluppo economico, Gian Paolo Manzella, è
venuto il momento di valutare la costituzioni di fondi da
"riservare" alle startup rosa.
Le ragazze che vogliono tirare su una nuova azienda
incontrano anche più difficoltà ad accedere al credito bancario.
Per Manzella bisogna allora "ripensare" un po' tutto. Inclusa la
legge 215 del 1992 sull'imprenditoria femminile che, spiega il
sottosegretario, per varie ragioni si è "arenata".
Il Covid ha inferto un duro colpo ma non cancella i risultati
raggiunti dall'imprenditoria femminile. Negli ultimi cinque anni
su 4 aziende venute alla luce 3 hanno visto una donna al timone.
E' così che si è giunti a quota 1 milione e 340 mila. Certo
ancora una minoranza, il 22% del totale, ma non più
un'eccezione. Molto attivo il Sud su questo fronte. In termini
di incidenza territoriale, sul totale delle imprese, al vertice
della classifica si incontrano infatti tre regioni del
Mezzogiorno: Molise, Basilicata e Abruzzo. Wellness, assistenza
sociale, moda e turismo sono tra i settori tradizionalmente più
proliferi. Ma sono sempre più frequenti le incursioni in ambiti
solitamente maschili, come l'informatica e le attività
professionali scientifiche. Unioncamere intercetta poi nelle
aziende femminili un istinto verso le politiche 'green', volte
alla sostenibilità. (ANSA).