Ci sono soprattutto Paesi europei nella top 10 della classifica stilata nel rapporto annuale 2016 di Germanwatch sulla performance climatica di 58 paesi del pianeta che rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali, realizzato in collaborazione con Legambiente per l'Italia, e presentato nel corso della Conferenza mondiale sul clima in corso a Parigi.
Escludendo le prime tre posizioni che non sono state attribuite perché nessuno dei paesi ha raggiunto la necessaria performance per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso e contribuire a mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei 2 gradi centigradi, al quarto posto si conferma ancora una volta la Danimarca, seguita da Regno Unito, Svezia, Belgio, Francia e Cipro. Il Marocco è al decimo posto,
L'Italia fa un balzo in avanti passando dal 16/o all'11/o posto grazie alla considerevole riduzione delle emissioni (-16,1% nel 2013 rispetto al 1990) dovuta all'importante contributo delle rinnovabili (siamo al 6/o posto per il trend di sviluppo delle fonti pulite) e dell'efficienza energetica combinato con la perdurante stagnazione economica. Ma l'Italia si piazza in fondo alla classifica (51/o posto) per quanto riguarda le politiche nazionali per il clima.
La Germania continua a rimanere nelle retrovie, confermando il 22/o posto dello scorso anno, dopo molti anni di leadership. Importanti passi avanti, emerge dal rapporto, sono stati fatti da India, Stati Uniti e Cina, che grazie ai significativi investimenti nel settore delle rinnovabili e dell'efficienza energetica degli ultimi anni, risalgono e si posizionano rispettivamente al 25/o, 34/o e 47/o posto.
Il rapporto Germanwatch sulla performance di 58 paesi nella lotta ai cambiamenti climatici, "evidenzia un forte rallentamento della crescita delle emissioni globali di CO2, che ormai tendono a stabilizzarsi. Trend positivo - spiega Legambiente - dovuto al considerevole sviluppo delle rinnovabili, che nel 2014 hanno registrato il 59% della nuova potenza elettrica installata a livello globale superando, per la prima volta, la potenza combinata delle nuove installazioni di centrali fossili e nucleari".
In 44 dei 58 paesi presi in considerazione dal rapporto si è registrata una crescita percentuale annua in doppia cifra. La performance di ciascun paese è misurata attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI) e si basa per il 60% sulle sue emissioni (30% livello delle emissioni annue e 30% il trend nel corso degli anni), per il 20% sullo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell'efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica climatica nazionale (10%) e internazionale (10%).
Studio Climate Action Tracker, con impegni attuali su CO2 aumento 2,7 gradi
Gli impegni nazionali ufficiali presentati da 185 Paesi (pari al 97,9% del totale delle emissioni globali) per la riduzione della CO2 sottoposti finora alla Conferenza Onu sul Clima non sarebbero sufficienti a frenare il riscaldamento globale perchè "produrrebbero un aumento medio della temperatura di circa 2,7 gradi nel 2100, se tutti i Paesi rispettassero i propri obiettivi" e questo andrebbe oltre i 2 gradi indicati come limite dagli scienziati. Lo calcola il centro ricerche Climate action tracker (Cat), sottolineando che se si verificassero i cosiddetti "impegni condizionali", dal cancellare la costruzione di centrali a carbone ad altre iniziative nazionali di mitigazione, si potrebbe "ridurre significativamente il gap" con l'obiettivo minimo di 2 gradi su cui c'è consenso generale.
La ricerca del Cat sottolinea poi che se solo i governi espandessero gli investimenti in politiche climatiche "tenendo conto dei risparmi legati alla riduzione della mortalità da inquinanti nocivi dell'aria", ci si potrebbe notevolmente avvicinare agli obiettivi fissati. "Se lo facessero anche solo 4 governi, Cina, India, Giappone e Russia, insieme all'Ue - spiega lo studio - si potrebbe ridurre il divario dall'obiettivo di 2 gradi del 25-45% e da quello di 1,5 gradi del 20-34%". Un significativo impatto, afferma ancora il Cat, potrebbe in particolare arrivare dallo stop all'uso del carbone per produrre elettricità. "Cancellare gli impianti a carbone, incrementando nel frattempo le rinnovabili e l'efficienza energetica - commenta uno degli esperti del team - ridurrebbe questo 'gap politico' in modo sostanziale, e sarebbe un passo importante per de-carbonizzare il settore (energetico) entro la metá del secolo".